Una responsabilità morale personale
Alla Camera è iniziato il dibattito, e speriamo che non venga nuovamente rinviato, sul disegno di legge sul fine vita, fermo da anni. Nonostante i drammatici casi di Welby, Luana Englaro, dj Fabo la politica continua a mostrare inerzia disarmante…e la gente è confusa. La mia riflessione parte dall’importanza della materia in atto e dalla libertà della laicità delle leggi in Italia. Ognuno poi deciderà in base alla propria fede, al proprio credo. Chi sono io per giudicare?
Il progresso biomedico e biotecnologico ha reso oggi possibile prolungare la vita attraverso la cura di molte malattie, un tempo mortali, e mediante macchinari in grado di mantenere le funzioni vitali in modo artificiale. Queste capacità scientifiche sono all’origine di nuove opzioni che però non è detto siano concepite da tutti come sistemi per migliorare la qualità della propria vita. Ad esempio, per alcuni essere tenuti in vita in modo artificiale può non coincidere con una vita ancora degna di essere vissuta. Si tratta di considerazioni molto personali, che possono comportare decisioni difficili, sia per la persona direttamente coinvolta, sia per i suoi cari. In particolare, la bioetica di fine vita, data dalla riflessione e dal dibattito etico in merito all’accettazione o al rifiuto di utilizzare le scoperte biomediche e biotecnologiche nelle ultime fasi della vita, assume rilievo intellettuale e politico a partire dalla seconda metà del secolo scorso. Infatti, con l’introduzione della Rianimazione Cardio-Polmonare (RCP), per la rianimazione interoperatoria (1960) per quei pazienti con problemi durante l’intervento cardio-chirurgico o nell’immediato successivo, ed in seguito al primo trapianto di cuore umano avvenuto con successo ad opera del cardio-chirurgo Christian Barnard a Città del Capo (1967), per la scienza la convenzione vuole che la morte sia fatta coincidere non più con l’interruzione del battito cardiaco, ma con la morte cerebrale (1968). E la RCP, diventando in seguito uno standard assoluto in caso di arresto cardiaco durante l’intervento o successivamente (1976), comporta la diffusione del c.d. DNR (Do Not Resuscitate) Order per quei pazienti che, in quei casi, non desiderano essere rianimati.
Una volta le decisioni sulle terapie da intraprendere erano prese del medico che, come un genitore fa con il figlio, sceglieva “in scienza e coscienza” ciò che riteneva bene per il paziente . Oggi invece il rapporto medico-paziente è molto cambiato. Il paziente è sempre più coinvolto in tutti gli aspetti che riguardano la sua malattia e le possibili cure, in quanto unico ad avere il diritto di decidere in autonomia della qualità della sua vita. Il diritto di autoregolamentarsi significa anche avere il diritto di rifiutare le cure cosiddette “salva vita”, ovvero quelle cure senza le quali sopraggiunge la morte, in nome di un diritto alla vita e di un diritto alla salute che non vengano interpretati come obbligo a vivere e obbligo a curarsi (se non per disposizione di legge, come nel caso dei TSO - Trattamenti Sanitari Obbligatori). La garanzia suprema del diritto di ogni cittadino a realizzare la propria volontà sulla sua personale esistenza coincide con il diritto all’autodeterminazione o all’autonomia individuale, fondamento della prospettiva laica in bioetica. Tale principio afferma che ognuno su se stesso, sul suo corpo e sulla sua mente, è sovrano data la capacità di una persona di darsi delle regole, di decidere per il suo essere. La responsabilità morale è personale, dell’individuo direttamente coinvolto, ed è legata alla propria visione del mondo, al proprio modo di concepire la vita e la morte. Il diritto all’autodeterminazione è un diritto di libertà e di responsabilità che ognuno ha verso se stesso e che supera la delega di tali importanti decisioni al medico o ad altri, come i propri familiari o il giudice. La capacità di scegliere per se stessi in modo indipendente comporta il diritto di ricevere informazioni precise e complete sulla diagnosi, sulle opzioni di cura e l’eventuale intervento, le loro conseguenze e i loro rischi. Solo dopo aver ricevuto tali informazioni, il paziente dà il proprio consenso o, per contro, rifiuta le terapie proposte dal medico. Questo passaggio fondamentale viene chiamato consenso informato. In merito alle decisioni di fine vita, l’Italia è ancora molto arretrata nel panorama europeo. Ad esempio, si tenga presente che il nostro paese è arrivato tra gli ultimi a maturare una prospettiva che promuovesse l’utilizzo della morfina o della sedazione nella fase terminale della vita. Ecco perché ritengo importante una legge specifica sul testamento biologico, di media solo il 5% dei pazienti decide per il proprio fine vita.