di Massimo Palozzi - Esattamente un secolo fa, il 26 marzo 1923, veniva pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del Regno n. 71 il regio decreto n. 545 adottato il precedente 4 marzo, con il quale si disponeva l’aggregazione alla Provincia di Roma del circondario di Rieti, allora appartenente alla Provincia di Perugia.
Potrebbe sembrare un insignificante dettaglio burocratico. In realtà è l’atto di avvio della costituzione della Provincia di Rieti, istituita ufficialmente quattro anni dopo con un decreto del 2 gennaio 1927.
L’antefatto: a seguito dell’Unità d’Italia, Rieti e la Sabina erano state inserite in Umbria, sotto Perugia. Una soluzione da subito maldigerita tanto dalla popolazione quanto dalle autorità, anche in considerazione delle scarse affinità storiche tra i due territori. Le ambizioni autonomistiche dei reatino-sabini rimasero però sotto traccia per molto tempo, fino a riaffiorare con forza solo agli inizi degli anni Venti del Novecento. Come ricorda un’accurata nota dell’Archivio di Stato, il processo di separazione dall’Umbria fu assai complesso. Da un lato si mise in moto un grande sforzo intellettuale per suffragare “scientificamente” l’estraneità all’Umbria del Reatino e della Sabina, ricorrendo persino agli studi del grande geografo di origine reatina Riccardo Riccardi; dall’altro venne avviata un’altrettanto intensa opera di pressione politica che nel 1922 sfociò nella creazione dell’Unione sabina, associazione di notabili locali nata proprio per tutelare e promuovere gli interessi del comprensorio.
Sull’onda del decreto del 4 marzo 1923, il 15 dicembre di quello stesso anno una sua delegazione riuscì a farsi ricevere da Mussolini. Al duce venne presentato un memoriale redatto da Mario Marcucci (sindaco di Rieti dal 1923 al 1926 e poi podestà fino al 1934, quindi deputato dal 1929 al 1943), Francesco Palmegiani (insigne storico dell’arte, vice podestà di Rieti e preside della Provincia dal 1937 al 1943) e Giuseppe Fiordeponti per chiedere l’elevazione di Rieti a capoluogo di una nuova Provincia che avrebbe dovuto inglobare addirittura Terni e dintorni. La richiesta era ambiziosa e nasceva in un contesto di acceso fermento campanilistico che dava l’idea di quanto a Rieti si vivesse con fastidio la condizione di “sudditanza” nei confronti dell’Umbria e di quanto aspra fosse la rivalità con Terni.
Nonostante l’impegno dei promotori, sul momento non se ne fece niente. Troppo alte e complicate da soddisfare erano le rivendicazioni reatine. Il raggiungimento dell’obiettivo era però solo rimandato, grazie alla paziente (e pedante) attività diplomatica intessuta a partire proprio dall’annessione del circondario di Rieti alla Provincia di Roma: nella sostanza quel provvedimento non cambiava lo status di Rieti e purtuttavia il distacco dall’Umbria rappresentò di fatto il punto di partenza per la realizzazione del sogno di diventare capoluogo di una Provincia autonoma.
Ci vollero ancora quattro anni, ma alla fine l’intenso lavorio dell’Unione sabina, le mobilitazioni di piazza e il fondamentale sostegno del ministro dell’Interno Luigi Federzoni condussero alla costituzione nel 1927 della Provincia di Rieti, nella quale confluirono territori del Lazio e dell’Abruzzo.
Quel decreto pubblicato in Gazzetta giusto un secolo fa fu insomma alla base di tutto. I reatini erano talmente consapevoli della sua importanza che il 12 ottobre 1924 venne offerta a Mussolini la cittadinanza onoraria. Affacciandosi dal palazzo municipale, il capo del governo rivolse alla popolazione parole di circostanza cariche della solita roboante retorica di regime, alcune delle quali meritano di essere comunque ricordate: “Sin dal primo giorno del mio Governo io pensai che la nobile Rieti, la romana, la latina Rieti, dovesse tornare a Roma e accolsi il vostro voto che da cinquanta anni era rimasto inascoltato. Conosco ora altri vostri bisogni e problemi che riguardano la vostra zona. So anche che voi non volete vivere – come mi diceva testé il vostro ottimo magistrato cittadino – sulle memorie del passato, ma volete costruire, col lavoro alacre, le fortune del vostro avvenire”.
Che Mussolini sin dal primo giorno di governo pensasse ad aggregare Rieti al Lazio sottraendola all’Umbria non è molto credibile. Più interessante risulta invece il passaggio del discorso sui bisogni e problemi del territorio con il riferimento a migliorare la qualità della vita per progettare il futuro. In effetti, nella prosa ridondante del duce quella che all’apparenza è una mera constatazione sembra nascondere un’esortazione. Come dire: una mano da Roma ve la diamo, però pure voi datevi da fare senza aspettare la manna dal cielo.
La successiva istituzione della Provincia è soltanto una delle testimonianze di come la forza politica della Rieti di allora riuscì ad ottenere attenzione e aiuti concreti. Il 6 dicembre 1926, appena un mese prima dell’istituzione della Provincia, il principe Ludovico Potenziani venne addirittura nominato governatore di Roma. Da quella posizione privilegiata (e non solo) si rese promotore di una serie di iniziative i cui effetti durano ancora oggi. Tutto questo per riaffermare un’ovvietà e cioè che, come diceva Andreotti, il potere logora chi non ce l’ha.
La provocazione mussoliniana sull’impegno richiesto agli indigeni risuona invece quantomai attuale. Oggi che per avere un assessore regionale dobbiamo sudare sette camicie, che la Salaria stenta a diventare una consolare moderna, che il treno per Roma è rimasto una chimera, che il Terminillo galleggia in una condizione di eterna incertezza, possiamo unicamente dare la colpa agli altri? O abbiamo accumulato un deficit di autorevolezza che pregiudica le nostre aspirazioni, al di là dell’oggettiva esiguità dei numeri che possiamo mettere sul tavolo delle trattative?
26–03-2023