a cura di Massimo Palozzi

Gennaio 2023

IL DOMENICALE

TRIBUNALE DI POGGIO MIRTETO E PROVINCIA, DUE CLAMOROSI (POSSIBILI) RITORNI

amministrazione, giustizia

di Massimo Palozzi - Tira aria di restaurazione. E non è detto che sia una cattiva notizia. Qualche giorno fa il quotidiano La Stampa ha rilanciato un’anticipazione secondo la quale il governo sarebbe intenzionato a riaprire i piccoli tribunali chiusi una decina di anni fa da Mario Monti nell’ambito delle stringenti misure di riduzione della spesa pubblica. A dare concretezza al progetto l’intervista al sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove, che al giornale torinese ha dichiarato: “Dobbiamo prendere atto che quella riforma è stata un fallimento. Mancano i risultati attesi. Non ha garantito la celerità dei giudizi che prometteva. E ha spento in troppi luoghi la luce della legalità rappresentata in sede giudiziaria”. Secondo l’esponente di FdI occorre il recupero di una “giustizia di prossimità”, per garantire l’efficientamento del servizio, anche in termini di durata dei procedimenti che, come noto, è uno dei mali endemici della giustizia italiana.

Nel 2012 vennero effettuati tagli draconiani ai presidi giudiziari per ragioni di carattere finanziario ed economico. Le più colpite furono le sedi distaccare dei tribunali (215 quelle soppresse) e gli uffici dei giudici di pace, addirittura dimezzati.

Tra le vittime della sforbiciata finì pure la sezione distaccata di Poggio Mirteto del tribunale di Rieti, aperta appena pochi anni prima, nel 1999, al posto della soppressa pretura, per merito dell’allora deputato (e avvocato) Pietro Carotti, che a dicembre ha festeggiato con la Toga d’oro il mezzo secolo di professione.

L’effettiva chiusura avvenne esattamente dieci anni fa, nel gennaio del 2013, e in attesa che possa riaccendersi la speranza di avere di nuovo un tribunale in Sabina, la ricorrenza è stata resa meno triste dalla decisione del ministero di via Arenula di rafforzare l’ufficio del giudice di pace attraverso la nomina appena deliberata di due magistrati onorari che prenderanno servizio all’esito del concorso in programma a breve.

Per il “servizio giustizia” la pretura prima, il tribunale poi e, in parallelo, il giudice di pace hanno rappresentato un riferimento importante in un’area che abbraccia 31 comuni, 5 dei quali appartenenti alla provincia romana, tra cui Fiano Romano. Così come è stato importante l’indotto economico generato dalle attività connesse a quella strettamente giurisdizionale.

L’intenzione del nuovo governo di ripensare la geografia giudiziaria italiana in senso ampliativo va quindi considerata con molta attenzione, soprattutto da parte egli esponenti istituzionali del territorio, attesi da una particolare opera di vigilanza e di pungolo affinché Poggio Mirteto non scivoli via dalle maglie di un provvedimento (al momento soltanto eventuale) che non necessariamente punterà al recupero di tutte le sedi distaccate a suo tempo soppresse.

In questo solco pare andare anche la vicenda delle province. Da qualche settimana i partiti stanno selezionando i rispettivi candidati a presidente per succedere a Mariano Calisse, ormai giunto al termine del suo mandato e già in campagna elettorale per le regionali di febbraio sotto le insegne della Lega. Il centrodestra ha individuato la sua portabandiera in un’altra esponente leghista, la sindaca di Fara Sabina Roberta Cuneo, mentre il centrosinistra ha optato per Filippo Lucentini, storico amministratore di area e sindaco di Fiamignano. Si voterà il 29 gennaio.

La scelta del presidente della Provincia avviene dopo un’elezione di secondo grado tra sindaci e consiglieri comunali in carica scelti dai loro colleghi. Con la confusa legge Delrio del 2014 ai cittadini è stato infatti sottratto il potere di eleggere direttamente gli amministratori com’era prima. L’innovazione mirava ad accompagnare in maniera progressiva la soppressione delle province, che sarebbero dovute sparire dall’ordinamento in seguito alla riforma costituzionale voluta dal governo Renzi, bocciata però dal referendum del dicembre 2016. Risultato: come istituzioni le province sono rimaste, private però di sostanziali poteri e destinatarie di conseguenza di risorse umane e finanziarie sempre più basse, a parte piccoli aggiustamenti resisi necessari dallo status quo determinato dal naufragio della riforma.

Anche su questo fronte sembrano esserci alle viste novità di rilevo. Se da tempo il ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli caldeggia un ritorno al passato, in parlamento sono in corso gli approfondimenti per ripristinare la situazione precedente alla riforma Delrio, mentre al Viminale è stato costituito un gruppo di lavoro interministeriale con il compito di armonizzare il Testo unico degli enti locali.

Finora sono state presentate diverse proposte di legge da parte di Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Partito democratico. Ed è probabile la redazione di un testo unificato, visto che anche Movimento 5 stelle e Italia viva hanno annunciato l’intenzione di presentarne di proprie. Non solo dunque nella maggioranza di centrodestra si fa strada l’idea di restituire poteri effettivi alle province, attualmente destinatarie di competenze residuali in materie comunque cruciali come la viabilità, i trasporti, l’ambiente e l’edilizia scolastica.

A questo proposito il ministero dell’Interno stima un onere complessivo di 223 milioni di euro. L’idea generale è di “ridare voce a milioni di elettori che a causa della riforma Delrio si sono visti rimuovere il loro diritto a votare direttamente il loro presidente della Provincia e il consiglio provinciale”, come ha spiegato la capogruppo al Senato di Forza Italia Licia Ronzulli, firmataria della proposta depositata per conto dei berlusconiani.

Il ritorno delle province è in realtà un punto condiviso del programma dei partiti di governo, a cominciare da FdI che esprime il presidente del Consiglio. Dal canto suo, a dicembre il leader della Lega e ministro delle Infrastrutture e Trasporti Matteo Salvini aveva esplicitato l’intenzione di riassegnare a questi bistrattati enti locali “funzioni, eletti, denari e poteri”, convinto che “la scelta diretta dei cittadini è qualcosa che porterà più servizi e minori oneri”. Un obiettivo dichiarato nel corso di un festival significativamente intitolato “L’Italia delle Regioni e delle province autonome” e ora condiviso da buona parte dell’arco costituzionale, centrosinistra incluso.

La Provincia di Rieti venne istituita nel 1927, aggregando comuni di Lazio, Umbria e Abruzzo. Una decisione presa a tavolino che per molti aspetti non teneva conto delle peculiarità storico-culturali dei singoli comprensori coinvolti, come ancora dimostra l’attuale orientamento degli interessi delle varie popolazioni, tra chi guarda a Roma, chi a Terni, chi a L’Aquila e chi a Rieti. Nonostante tutti i limiti, l’esistenza di un livello intermedio di rappresentatività tra comuni (spesso microscopici e sempre più in affanno) e Regione si avverte comunque come un’esigenza obiettiva, al di là del colore politico di chi è chiamato a guidarlo, nel nome di quel mai sufficientemente attuato principio di sussidiarietà. La razionalizzazione della spesa pubblica e il taglio degli sprechi sono principi sacrosanti, però spesso nella foga si finisce per buttare, insieme all’acqua sporca, anche il bambino.

 

15–01-2023

condividi su: