a cura di Manuela MARINELLI

Giugno 2019

CARATTERI ORIGINALI

STREET ART A RIETI

arte

(Di Manuela Marinelli) Il grande dipinto realizzato da Ozmo sul Palazzo di Giustizia di Rieti è emblematico dello stato dell’Arte contemporanea. La Street Art nasce come forma estrema di protesta contro il mercato dell’arte che mercifica l’artista obbligandolo a scelte non sue e che rinchiude l’opera dentro le mura asettiche delle gallerie. L’arte di strada diventa “arte per strada” che va incontro alla gente, la intercetta, la interroga, la provoca. Ma la legge implacabile del mercato tritura tutto, nientifica tutto. Così anche la Street Art si piega alle regole di questo mondo fluido e cangiante, sottomettendosi alle regole del gioco commerciale. Un artista graffiante e trasgressivo come Bansky, solo per fare un esempio, assurge all’apice della notorietà mondiale non per i colossali dipinti contro la guerra e i meccanismi distruttivi del capitalismo finanziario, ma perché inventa un’opera che si autodistrugge alla fine di un’asta e l’opera sfettucciata, invece di perdere valore, lo triplica. Perché quello che conta nell’epoca della fluidità vacua è la sensazionalità dell’effetto suscitato. Tutto è superficiale e ambiguo perché più nulla è stabile, soprattutto la psiche e l’interiorità dell’uomo contemporaneo che, nella sua corsa affannosa verso il nulla cosmico, ha lasciato indietro la sua anima, smarrita nel vuoto delle esistenze individuali. Se l’arte non indaga l’interiorità dell’essere umano, non sonda gli abissi dell’esistenza, galleggia in superficie, sfuggente e mutevole.
Denuncia e provocazione non funzionano più perché nessun valore è riconosciuto, nessuna cultura è assimilata e tutto fluttua senza sosta in una ambivalente alternanza di vero/falso che impedisce di riconoscere la realtà. Ozmo, a Rieti, sceglie di citare il Giudizio Universale dei fratelli Torresani e il Ratto delle Sabine del Giambologna, scultura esposta a Firenze. L’idea di Ozmo è collegare il “Giudizio supremo”, come lui stesso l’ha definito, con il rapimento delle Sabine. Il tutto sulla facciata del Tribunale, proprio per sottolineare l’importanza della legalità e della giustizia. Ma il ratto delle sabine è stato un rapimento rituale, non un delitto. Si trattava di una pratica diffusa nel mondo antico, come ci ricorda il mito greco. Se di giustizia divina e umana si voleva parlare forse sarebbe stato più graffiante associare il Giudizio divino alle leggi che troppo spesso dimenticano i diritti umani inalienabili. Dunque l’accostamento del Giudizio Universale al Ratto delle Sabine ha un significato solo evocativo, molto efficace da un punto di vista decorativo, ma privo della carica eversiva tipica della Street Art.
Specchio dell’epoca in cui viviamo anche l’arte di strada risulta inerme davanti all’inglobamento mediatico che vanifica tutto, diluendo e sterilizzando qualunque messaggio.
Siamo nani sulle spalle dei giganti del passato. L’imperativo categorico, oggi più che mai, è conservare ciò che la storia ci ha consegnato, perché momentaneamente nessuno ha molto da dire.

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