di Massimo Palozzi - La netta vittoria di Daniele Sinibaldi (domani il passaggio delle consegne in Comune con Antonio Cicchetti) conferma Rieti come una città di centrodestra. Pur vincendo già al primo turno, il candidato del cartello conservatore ha infatti raccolto addirittura meno voti della somma delle liste che lo appoggiavano, le quali nel complesso hanno superato quota 55% (55,38 per l’esattezza), mentre il risultato individuale del neosindaco si è fermato ad un pur ragguardevole 52,17 (-3,21%).
Situazione opposta per quanto riguarda gli sfidanti, con Simone Petrangeli accreditato di un 37,43% (+2,26 rispetto al 35,17 del centrosinistra) e Carlo Ubertini, che ha ottenuto un bottino personale del 10,4% a fronte del 9,45 raccolto dalle tre liste che lo sostenevano (+ 0,95).
A dispetto del mantra per cui le elezioni amministrative sono un fatto localistico dove conta l’aspetto personale e il giudizio sul governo cittadino, dalle prime analisi emerge dunque il tratto di un voto molto politico, piuttosto polarizzato sui partiti nazionali invece che sulle tante liste civiche. Le prime quattro sigle per numero di voti raccolti sono infatti, nell’ordine: Fratelli d’Italia con il 15,25%, Lega con il 13,26, Partito democratico con il 10,98 e Forza Italia con l’8,99%. Messi insieme, fanno quasi la metà dei voti espressi dai reatini domenica scorsa.
Partendo da questi dati, spicca in primis il successo di Fratelli d’Italia, di cui il neosindaco è coordinatore provinciale. In generale, va rimarcata l’affermazione complessiva delle forze meno moderate della coalizione vincitrice, nel solco peraltro di una tradizione che ha visto tutti sindaci targati destra dal 1994 ad oggi (cioè da quando vige l’elezione diretta del primo cittadino), ad eccezione del quinquennio 2012 – 2017 con la sindacatura Petrangeli.
In provincia sono andati al voto anche altri sei Comuni. Il Pd, che a Rieti ha perso oltre due punti percentuali pur schierando anche otto esponenti del gruppo che fa capo al deputato Alessandro Fusacchia, ha festeggiato l’affermazione di esponenti d’area a Cittaducale, Antrodoco, Pescorocchiano e Nespolo. Il test più significativo era tuttavia quello del capoluogo e i risultati raccontano in maniera inequivoca una tendenza consolidata che gli sforzi dell’area progressista variamente declinata non sono riusciti ad intaccare.
A questo proposito, uno degli assi sui quali il centrodestra ha costruito la vittoria è stata senza dubbio la capacità di presentarsi unito all’elettorato. La scelta del candidato già a novembre ha mandato un segnale di forza, proiettando il senso di una coesione prontamente ritrovata dopo un iniziale ondeggiamento tra le legittime aspirazioni dei diversi partiti. La crescita repentina in termini di sondaggi e la conseguente corsa all’arruolamento di personalità di rilievo nei ranghi della Lega hanno per un attimo illuso il Carroccio di essersi conquistato il diritto di esprimere il nome da proporre alla carica di sindaco. Una velleità nei fatti durata poco e spentasi nel confronto con il radicamento sul territorio che FdI ha saputo costruire e di fronte al quale nulla ha potuto la declinante parabola di Forza Italia, che pure formalmente esprimeva il sindaco Cicchetti. Alla fine il nodo è stato sciolto attraverso un sondaggio telefonico per capire il gradimento su quattro esponenti d’area: il vicesindaco Sinibaldi (FdI), l’assessore ai Servizi sociali Giovanna Palomba per Forza Italia, il consigliere con delega allo Sport Roberto Donati per la Lega e l’assessore a Urbanistica e Lavori pubblici Antonio Emili come indipendente di destra. I risultati di questo sondaggio non sono mai stati resi noti ma le indiscrezioni filtrate hanno incoronato Sinibaldi come il preferito e su di lui è confluita quindi la scelta finale.
Ben altro scenario è stato invece allestito dallo schieramento di centrosinistra. Il campo largo evocato dal segretario nazionale del Pd Enrico Letta ha incontrato fin da subito enormi ostacoli, sia per la mancanza di un piano condiviso sia, soprattutto, per la difficoltà di individuare una personalità su cui investire nella corsa a Palazzo di Città. Tra mille distinguo, veti incrociati e proposte alternative, a un certo punto i Dem hanno tentato la forzatura buttando sul tavolo la candidatura dell’assessore regionale Claudio Di Berardino. Mossa audace (o disperata, dipende dai punti di vista) che però non ha dato i suoi frutti. Invece di coagulare l’alleanza intorno al nome di Di Berardino, la proposta ha rinfocolato le aspirazioni di Simone Petrangeli e del suo gruppo, lesti a reagire mettendo in campo un’azione politicamente ficcante culminata nell’ottenimento della celebrazione delle primarie a marzo, vinte con largo margine dallo stesso ex sindaco. Come però dice il proverbio, non si sta in paradiso a dispetto dei santi. La candidatura strappata con il favore del responso dei gazebo è stata ovviamente accettata e supportata dalle forze confluite nell’alleanza, ma il senso di scarsa compattezza è emerso fin da subito. Pesava su Petrangeli un passato – prossimo e recentissimo – di scarso feeling con le altre componenti. I rimpasti di giunta, la clamorosa rottura con il Pd pochi mesi dopo il suo insediamento come sindaco, scelte amministrative controverse e, da ultimo, l’impuntatura sulle primarie e il presentarsi come esponente civico senza una precisa connotazione politica, se da un lato gli hanno garantito un nuovo tentativo dopo quello fallito per soli 99 voti al ballottaggio di cinque anni fa, dall’altro hanno probabilmente agito da detonatore per l’implosione finale.
Nessuno realisticamente pensava che potesse vincere al primo turno. Molto più verosimile era invece il raggiungimento del ballottaggio, con una nuova pagina tutta da scrivere nelle ultime due settimane di campagna elettorale. Visti i risultati, il pieno di voti registrato dal centrodestra avrebbe probabilmente avuto la meglio su qualunque altra proposta alternativa: il gap tra quelli raccolti dalla coalizione vincitrice e il suo candidato sindaco lascia però intendere l’esistenza di un minimo margine di manovra che invece nei fatti è completamente mancato.
Nonostante il bottino di preferenze personali superiore a quello complessivo raccolto dal centrosinistra, la candidatura di Petrangeli si è rivelata insomma debole soprattutto sul piano politico, non riuscendo a catalizzare gli entusiasmi di un elettorato convinto fin da subito dal messaggio valoriale e programmatico dello schieramento opposto, di cui è stata evidentemente apprezzata anche la gestione amministrativa. E nemmeno può lenire la ferita la composizione del nuovo Consiglio nel quale aumentano gli esponenti dell’opposizione vicini allo stesso Petrangeli. I regolamenti di conti tra gli sconfitti, peraltro già annunciati, sono una prassi che non appassiona nessuno.
Nella generale débâcle del centrosinistra rientra pure il pessimo risultato del Movimento 5 stelle. Un fallimento per certi versi annunciato dalla rinuncia a correre con il nome e il simbolo storici e la decisione di nascondersi dietro una lista civetta in appoggio a Petrangeli, giocata sul nome del presidente del partito (Rieti ConTe). Gli appena 351 voti raccolti, pari a un misero 1,49% e nemmeno un seggio conquistato (peggio hanno fatto solo i Socialisti riformisti) danno la misura di una disfatta prossima all’estinzione dei pentastellati in terra reatina, quando nel 2017 avevano raggiunto il 4,62%. Niente posti in Consiglio comunale neppure per SìAmo Rieti, la lista nata sull’onda del Lazio Pride dello scorso settembre
Il Terzo polo, che all’esordio della campagna elettorale aveva tentato un’opera di aggregazione arenatasi di fronte a calcoli di convenienza politica di altri soggetti inizialmente interessati, ha portato a casa un risultato dignitoso. Il 9,45 per cento raggranellato da Psi, Rieti in salute e NOME Officina politica, insieme al 10,4 del candidato sindaco Carlo Ubertini, segnano la soglia oltre la quale non era ragionevole aspirare. Più interessante è la distribuzione dei voti fra le tre liste, in cui spicca il cospicuo 4,21% di quella messa in piedi dagli operatori della sanità, che ha pure strappato un seggio in Consiglio. Non è riuscito invece a NOME il salto all’interno delle istituzioni: i 554 voti raccolti lasciano l’associazione fuori dall’assemblea cittadina.
Celebrata la vittoria, per Sinibaldi si apre ora la delicata opera di composizione della nuova giunta, che ridisegnerà pure il profilo definitivo del Consiglio con l’ingresso in surroga dei primi degli esclusi al posto degli assessori nominati tra i neoeletti. Dalle urne alcuni signori delle preferenze sono usciti ridimensionati, mentre candidati considerati a torto come outsider sono stati premiati da un consenso popolare in alcuni casi davvero massiccio.
Un’ultima riflessione va fatta sull’astensionismo. Dei 38.199 reatini aventi diritto si sono recati alle urne in 25.077, ovvero il 65,65%. Nel 2017 erano stati il 72,48%, mentre nel 2012 il 76,31%, marcando un calo progressivo da una consultazione all’altra che dovrebbe interrogare partiti e forze politiche.
19–06-2022