Gennaio 2022

STORIE

SEGRE, MODIANO, TERRACINA: TRE NOMI PER NON DIMENTICARE LA SHOAH

storia, storie

di Francesco Saverio Pasquetti - “Viaggio senza ritorno”: così si intitolava lo straordinario, lucidissimo, drammatico documentario che l'impeccabile Alberto Angela martedì scorso ha voluto dedicare su Rai Uno alla Giornata della memoria ed, in particolare, a quella terribile data – il 16 ottobre 1943 – che coincise con il rastrellamento degli ebrei romani da parte de nazi - fascisti. Ed inevitabile, ascoltando commosso e a tratti straziato, le testimonianze che via via si snocciolavano nel corso del programma che dal portico d'Ottavia ha poi condotto gli spettatori nel baratro inimmaginabile di barbarie e morte di Auschwitz Birkenau, è riemerso lucidissimo il ricordo di quella giornata di giugno 2018, quando ebbi l'onore e la fortuna di ascoltare la testimonianza di uno dei preziosi reduci di tale dramma. “La memoria è un filo che lega il passato con il presente, guardando al futuro”: Con questa frase ci accolse in casa sua Pietro Terracina, uno degli ultimi reduci di Auschwitz – Birkenau, scomparso poco più di un anno dopo il nostro incontro, avvenuto con un gruppo di giovani adolescenti della parrocchia di San Francesco Nuovo, a Piazza Tevere. Ci parlò, in quell'occasione, Terracina di Liliana Segre – poi diventata senatrice a vita – e di Sami Modiano, giovanissimo ebreo catturato nell'isola di Rodi e, tra sofferenze indicibili, deportato ad Auschwitz. Ed è proprio la straordinaria testimonianza di Modiano, nel corso della trasmissione di Angela, a riportare alla mente quella giornata vissuta con Terracina. Indossava una polo a maniche corte celeste, Pietro, e lo sguardo non poteva non cadere, immediato, su quel tatuaggio che tutti sanno essere una sorta di sigillo di morte. Recita: A – 5506. “Dovetti imparare presto, in tedesco, tutte le combinazioni di quel numero – ci disse – perchè le SS si divertivano sadicamente a chiamarci invertendoli.  Se non rispondevamo subito, ci attendevano i bastoni e le zanne dei cani lupo”. Un racconto di due ore, il suo. Condotto con voce ferma seppur, a tratti, rotta da emozione e commozione. “Una storia di morte e desolazione”, come lui stesso la definì. Oltre due ore di un privilegio unico e nello stesso tempo quasi devastante: un viaggio in prima persona nel luogo principe della Shoh. Quelle immagini, viste tante volte in tv ed al cinema e riportate alla memoria dal “Viaggio senza ritorno” di RaiUno, al cospetto del reduce di Auschwitz si fecero presto quasi realtà. Non fece sconti, Pietro Terracina. Come la Segre e Modiano, martedì sera. Non alla storia, agli uomini, ai protagonisti negativi della sua tragedia. Mi colpisce come i due inizino la loro testimonianza, dinanzi alle telecamere, esattamente nello stesso modo con cui diede inizio alla sua Terracina: le leggi razziali del '38, che troppi, oggi, dimenticano, affannati nello sdoganamento raffazzonato e superficiale dei “nuovi fascismi” e dei “nuovi Duci”. Così, senza peli sulla lingua, li definì lo stesso Terracina, senza nominarli ma mettendo in guardia i giovani dal pericolo che la storia possa ripetersi. “Ero stato promosso in quinta elementare – ricordò – e non posso dimentìcare quando la mia amata maestra, Milano si chiamava, mi disse: da domani tu, Pietro, non potrai più venire a scuola. Quasi disperato le chiesi: ma perchè? E lei mi rispose con due sole parole: sei ebreo!”. E dire che la sua famiglia, quasi per miracolo, era scampata proprio a quel “Viaggio senza ritorno” raccontato da Angela nella memorabile puntata di “Ulisse, il piacere della scoperta”. Ma anche per loro arrivò, seppur alcuni mesi dopo, il momento della deportazione: il 7 aprile del 1944. Una data ripetuta più volte. Il giorno dell'arresto. “Era Pesach quel giorno – ci disse in ebraico, riferendosi alla Pasqua – ma non finimmo di celebrarla. Due SS, guidate da due delatori fascisti ci diedero venti minuti per prepararci”. E continua: “Scesi in strada: una camicia nera ci chiese dov'erano denaro e preziosi, sostenendo che gli sarebbero serviti per corrompere i nazisti e così liberarci. Non era vero: era solo uno sciacallo”. Poi, lo ricordo come fosse ora, le sue parole, indelebili: “Da quel momento  ebbe inizio il nostro inferno sulla terra”. Prima a Regina Coeli; poi nel campo di Fossoli, frazione di Carpi in Emilia, luogo anch'esso citato nel documentario. Drammatico il ricordo di Terracina del saluto, l'ultimo, con la madre, appena giunti nel lager. “Mamma aveva capito tutto”, disse. Il saluto del padre, la memoria della sorella Anna: proprio seguendo lei, quella mattina del 7 aprile, la spia fece arrestare i Terracina. Sami Modiano, nel suo racconto, ricorda quando, già da alcuni giorni ad Auschwitz, vide di lontano una ragazza sbracciarsi e salutarlo: “non la riconobbi – dice commosso ad Angela – era mia sorella. Poi non la vidi più”. Spenta la tv, ricordando quel giorno, il pensiero corre alle tante persone che, ancora oggi, si rifanno a quelle ideologie che allora condussero ad un tale abisso di disumanità. Un motivo in più per testimoniare e non dimenticare. Mai più.

27_01_22

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