di Massimo Palozzi - Con l’attenzione tutta rivolta alla tremenda ondata di furti che nell’impotenza generale sta imperversando in città e in parte della provincia, il rapporto pubblicato dall’Istituto Tagliacarne alla fine della settimana scorsa (venerdì 17, tanto per dare un argomento ulteriore ai superstiziosi) è rimasto piuttosto in ombra, se non per l’accenno di qualche osservatore rilanciato dalle testate giornalistiche.
Oggetto dell’indagine era lo studio comparato delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti nelle varie province italiane. E i risultati sono stati scioccanti, almeno per quanto ci riguarda.
Come ha sottolineato Gaetano Fausto Esposito, direttore generale del Centro Studi, “l'analisi dimostra che la geografia delle retribuzioni è diversificata territorialmente, e sotto vari aspetti non rispetta la tradizionale dicotomia Nord-Sud. Infatti se confrontiamo la graduatoria del pil pro capite (che misura la produzione della ricchezza) con quella delle retribuzioni, vediamo che nel primo caso praticamente tutte le ultime trenta posizioni sono appannaggio di province meridionali (con la sola eccezione di Rieti), mentre in quella delle retribuzioni pro-capite troviamo ben 10 province del Centro-Nord”. A Rieti, insomma, male il pil e peggio gli stipendi.
In concreto, tra il 2019 e il 2021 le buste paga si sono alleggerite in 22 province su 107. In queste aree un lavoratore dipendente ha perso in media 312 euro nel triennio, a fronte di una crescita nazionale di circa 301 euro. Sensibili sono le differenze a livello territoriale. Salari più magri di oltre mille euro a testa si registrano a Venezia, Firenze e Prato. Mentre crescite al top si rilevano a Milano (+1.908 euro), Parma (+1.425) e Savona (+1.282). Sotto la Madonnina, segnalano i ricercatori del Tagliacarne, i dipendenti sono anche i meglio pagati d’Italia, con uno stipendio medio di 30.464 euro nel 2021, due volte e mezzo la media nazionale di 12.473 euro e nove volte più alto di quello di Rieti, fanalino di coda nella classifica retributiva. Ma, va detto, nel capoluogo lombardo il reddito da lavoro dipendente rappresenta oltre il 90% del reddito disponibile contro il 23,9% di Rieti e il 63,1% della media nazionale.
Se Milano è la prima provincia italiana per valore pro-capite dei salari, Savona (+14,3%), Oristano (+11,8%) e Sud Sardegna (+11,2%) presentano i maggiori incrementi delle retribuzioni.
Tra 2019 e 2021 il peso in termini pro-capite del reddito da lavoro dipendente sul totale del disponibile è rimasto stabile intorno al 63%. In 42 province su 107, delle quali solo sei sono del Mezzogiorno, è invece aumentato passando dal 68,7% nel 2019 al 69,7% nel 2021. Nel complesso, l’incidenza delle retribuzioni sulle entrate disponibili si rivela più marcata nelle città metropolitane (71,3%) e meno nelle province (57,6%). Ai due estremi della forbice, come purtroppo abbiamo visto, si trovano Rieti con il 23,9% e Milano con il 90,7%.
Questi numeri si spiegano anche analizzando i dati più aggiornati di InfoCamere. La società di informatica delle Camere di commercio italiane ha rilevato come dal 2019 la crisi che ha colpito le imprese reatine abbia penalizzato fortemente due settori di base: il commercio (sia all’ingrosso che al dettaglio) e l’agricoltura. Nell’ultimo triennio sono addirittura oltre 200 le aziende agricole che hanno chiuso i battenti, schiacciate da elementi di varia natura in grado di originare la tempesta perfetta: dalla pandemia ai fattori climatici, che hanno portato l’alternanza di lunghi periodi di siccità con alluvioni devastanti per coltivazioni e raccolti.
E come se tutto questo non bastasse, all’orizzonte si profilano minacce occupazionali di rara gravità. All’indomani del ventilato stop ai bonus nel settore delle costruzioni, la Cgil è uscita mercoledì con un duro comunicato per stigmatizzare la svolta impressa dal governo. “Lo stop all’accesso dei bonus edilizi, in un territorio complesso come quello di Rieti e della sua provincia, determina più danni dei reali effetti del provvedimento”, ha scritto il sindacato denunciando il rischio di conseguenze estremamente negative sull’economia locale, proprio in virtù di quell’ultimo posto di Rieti nella classifica delle retribuzioni. Pur preoccupata per l’indecorosa posizione, la Cgil rileva infatti come di recente un miglioramento ci sia comunque stato, con un incremento del 7,2% degli stipendi medi dei reatini. Tale miglioramento sarebbe sostanzialmente imputabile all’edilizia, a fronte del perdurare della crisi manifatturiera acuita dall’andamento negativo dei mercati, affossati a loro volta da difficoltà endogene e stress esogeni. In un simile scenario il comparto delle costruzioni si rivela dunque strategico, a maggior ragione in un’area interessata dai lavori della ricostruzione post-terremoto e con il traino dei tanti cantieri aperti in Sabina grazie ai bonus.
La coperta è corta e l’ubriacatura dei fondi legati al Pnrr sta generando una bolla che solo il tempo dirà quanto foriera di sviluppo stabile e duraturo. Nell’attesa che si compia questa beata speranza, nel piccolo nulla si muove. Anzi, le scorrerie ladresche che continuano ad imperversare contro le attività commerciali non si limitano ad amplificare il senso di insicurezza generale tra la popolazione, ma causano perdite concrete ai bilanci delle singole imprese, costrette ad oneri aggiuntivi per implementare i sistemi di difesa, di allarme e antintrusione, oltre ai danni patiti dalle attività direttamente colpite dai raid notturni.
In un panorama del genere à facile che vada disperso anche il patrimonio immateriale delle competenze, che sono la vera fonte di progresso e sviluppo. Lo spreco corre purtroppo su un doppio binario: da un lato i talenti locali continuano a non trovare opportunità a Rieti, preferendo altri lidi per indirizzarsi verso carriere maggiormente remunerative sotto ogni profilo. Dall’altro si vanifica in larga parte lo sforzo di potenziare il polo universitario, che finisce così per trasformarsi in un ente formatore di professionalità destinate ad essere impiegate al di fuori del territorio.
Il ruolo di attrattore di giovani che la Sabina Universitas esercita merita la massima considerazione, anche alla luce del recente assestamento identitario e dell’annesso rilancio in termini di offerta e di qualità dell’insegnamento. Altrettanto innegabile è però la mancata chiusura di un circuito virtuoso di quella che potremmo definire l’economia circolare dei cervelli.
26–02-2023