(di Lucio Boldrin) Nei mesi estivi abbiamo assistito a casi di intolleranza o violenza nei confronti di migranti, spesso definiti delle “goliardate” o “incidenti involontari” Il dubbio che non si sia trattato di episodi isolati o casuali, ma di un vero e proprio fenomeno. Un fenomeno preoccupante: la denigrazione dell’immigrato, in particolare di chi ha la pelle scura, aggravata dall’emulazione, mi ronza in testa.
E qui ritorna in luce l’impegno educativo che dovrebbero avere le famiglie. La famiglia. Ma tutti devono fare attenzione a una “cosa strana” che capita in fase di analisi a tutti i livelli, dai giornali alla chiacchierata al bar: tendenzialmente siamo molto severi nel giudicare questi fatti, ma poi se capita che a compierli è qualcuno vicino a noi, li definiamo una “ragazzata”. Si sentono troppo facilmente espressioni come: “Ma quale razzismo, sono solo ragazzi”. Ecco, così tutto si complica. Di sicuro non sono ragazzate: classificarli così è un grande errore. Perché sta montando, non so se mi sbaglio, qualcosa di altamente pericoloso.
Un punto fermo da cui partire per debellare queste dinamiche deve crescere la consapevolezza che siamo diventati un paese multietnico. Siamo una società in cui in molti ambiti ci sono più stranieri che italiani. Ma qui nascono le difficoltà. Per molti questo non è un problema, ma evidentemente per qualcuno sì. Bisogna capire perché è un problema. È di ordine pubblico? Non ne trovo la giustificazione: chiunque deve essere punito se ha trasgredito a qualche regola, di qualunque nazionalità sia; se poi un giudice libera il colpevole dopo 2 ore, allora bisogna riflettere sulle norme, oltre che ovviamente sulle particolarità del caso specifico e del singolo giudice.
La politica ha molte responsabilità. Soprattutto quando cerca il consenso: così muore. La politica vera infatti non lo cerca, lo costruisce. Se invece punta solo a parlare alla “pancia” degli elettori trova il consenso, però allo stesso tempo attua un’operazione culturale controproducente, perché fa perdere la visione del futuro. Se fate caso non si ragiona e opera pensando concretamente a come si vuole il Paese fra cinque o dieci anni. Si pensa solo a cosa succede nel tempo che manca alle successive elezioni, e così si cerca di sfruttare le tensioni sociali per trasformarle in sostegno elettorale. Lavorare con lungimiranza, non porta una “rendita” immediata ma a medio termine: si costruisce una comunità dove c’è una pacifica e produttiva convivenza delle genti. Bisogna avere il coraggio di fare scelte impopolari nell’immediato per non costruire una civiltà sulla paura, che diventa poi far west, in cui il primo sospettato di una rapina in banca lo si appende a un albero. Questa non è civiltà.
Questo governo, che descriverei un po’ revival, vintage, deve smetterla di pensare al “qui e ora”: guardi avanti e ci guidi verso un tempo di apertura all’altro: così la nostra società vivrà in armonia. Un esempio da seguire è quello di un insegnante di un istituto superiore Torino, che ha invitato delle giovani scrittrici maghrebine a parlare agli alunni: la loro lezione è stata un’esperienza bellissima e preziosa. Così si sconfigge il pensiero inutile e dannoso dei “negri che devono tornarsene a casa”.
Questo per dire che anche la scuola ha un ruolo cruciale. Ha la possibilità di creare e valorizzare culture: che non vuol dire solo far studiare Manzoni, ma anche far conoscere la storia e la bontà del couscous, o spiegare che un piatto di pasta al pomodoro non ha origini italiane. E poi far comprendere che è bello, buono e utile mischiare culture: tutti i grandi artisti hanno tratto benefici dall’integrazione: se Leonardo non avesse incontrato pittori fiamminghi non avrebbe fatto quella meraviglia della Gioconda. Ecco perché questo non è buonismo: è che ci conviene. Conviene proprio a noi, che tra l’altro in varie epoche siamo stati un popolo migrante. La scuola può sconfiggere l’ignoranza, aiutando a far capire che il razzismo non ha senso, è un controsenso letterario: siamo tutti della razza umana.