Luglio 2022

PERSONE & PERSONAGGI

PERCHÉ POMPILI NON SE NE PUÒ ANCORA ANDARE

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(di S. Santoprete) - Le voci insistenti sulla possibile partenza del vescovo Domenico Pompili hanno fatto calare un velo nero su una serie di appuntamenti importanti per il nostro territorio.

Sappiamo che da buoni cristiani occorrerebbe chinare la testa ed accettare le decisioni che arrivano da Roma ma questa volta in gioco non c’è soltanto l’affetto dei suoi fedeli quanto la richiesta di un intero territorio di cui Pompili si è fatto veramente ‘pastore’.
In questi lunghi complicati sette anni monsignor Pompili ha dovuto affrontare impegni rilevanti, a partire dal terremoto del 24 agosto del 2016, che lo ha sempre visto in prima linea con spirito combattivo. Il sisma che insieme alle case ha sgretolato il sistema sociale del Centro Italia, ha trovato in lui un punto di riferimento che invocava coesione, che ispirava principi cristiani ma al tempo stesso strigliava energicamente chiunque prendesse tempo su una ricostruzione faticosa e urgente per evitare che la desertificazione fosse il solo futuro di quelle zone. L'idea delle Comunità Laudato si' (ormai diffuse in tutta Italia) nacque tra le macerie di Amatrice, quando accompagnò Carlo Petrini in visita nelle zone colpite dal sisma. E qual è oggi uno dei più impegnativi progetti di ricostruzione privata nelle zone colpite dal terremoto? Proprio quella ‘Casa Futuro’, con un centro studi che si ispira ai principi e alle grandi questioni sollevate dalla Laudato si’, voluta da Pompili perché “non basta ricostruire ma è necessario rigenerare questa terra” con l’area vasta dell’ex Don Minozzi, (circa 20mila metri quadrati – corrispondente al centro storico di Amatrice) che  è  punto nevralgico di questa fase, e che ha bisogno di trovare indicazioni giuste per sviluppare materialmente l’idea iniziale da cui deriva buona parte del benessere di quella zona e di suoi abitanti.

Pompili non si è limitato a curare lo spirito, si è preoccupato di sollevare i pesi dalle spalle di quanti – troppi – in questa terra hanno fatto i conti con la pandemia e con il peggioramento di una crisi economica già in atto da anni, ricoprendo spesso un ruolo di rilievo nelle vertenze di lavoro, tentando di individuare una soluzione per i lavoratori. Ha posto sul tavolo temi annosi, restituendo loro nuovo smalto. Ha parlato di questa complicata parte dell’Italia centrale come “il ponte più urgente da costruire” sottolineandone l’incomprensibile arretratezza delle sue infrastrutture proponendo,  tra le tante opere per cui si è speso,  la “Ferrovia dei due mari” per collegare l’Adriatico al Tirreno. Sapendo ben rappresentare questo territorio anche fuori dalle chiese.

Se Papa Francesco descrive la figura del vescovo come un uomo che “sa vegliare con il suo popolo” con “un atteggiamento di vicinanza” e di coinvolgimento, ben comprenderà come sia impossibile in questo momento farne a meno.  Ora che si dovrebbero poter raccogliere i frutti di una semina paziente, ora che si porterebbe finalmente a compimento il suo primo grande obiettivo a noi espresso all’arrivo: far tornare Francesco ad essere centrale in questo territorio (‘Francesco da Rieti’ quello delle origini), i cui 800 anni dalla scomparsa vedranno finalmente coinvolti i nostri luoghi (“Da anni lavoriamo per far sì che Rieti recuperi la memoria della traccia francescana, uscendo dall’isolamento”). 

Non si tratta quindi di salutare un prelato ma di interrompere un percorso di crescita e sviluppo di cui mons. Pompili è stato abile tessitore, unendo la testimonianza della Parola all’autorevolezza dell’agire. E la stessa nostra convinzione, crediamo, possa appartenere al mondo politico locale che attraverso Domenico ha visto amplificate le richieste rivendicate per questa terra.

Se Verona ha bisogno di qualcuno capace di mediare fra sensibilità diverse, Rieti ha ancora bisogno di riuscire a sperare. E Pompili sa come instillare gocce di fiducia.

(foto d'archivio M. Festuccia)

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