Quanto sono insoliti i rumori che spezzano la quiete delle piovose giornate di fine maggio lungo la via che declina dal cuore della città verso il piazzale della Stazione!
Si percepiscono netti anche se trascorriamo rapidi nel chiuso delle nostre vetture, ancor più se camminiamo lentamente a piedi, persi nel guazzabuglio dei nostri pensieri.
Incuriositi, viene spontaneo fermarsi: c’è una ruspa in azione, quasi ancorata al muro di costruzione, la benna rapida spezza i muri marciti dei prefabbricati che vennero eretti con baldanzosa sicumera una sessantina d’anni fa, per dare spazio ai nuovi reparti dell’Ospedale che era assai vecchio fin da allora e presto sarebbe stato abbandonato per trasferire medici e malati nella struttura di Campoloniano.
Mentre si restituisce, sia pur tardivamente, la dovuta attenzione all’adiacente chiesa vignolesca di Sant’Antonio Abate, in attesa di un integrale intervento di consolidamento e recupero dell’intero complesso, s’incomincia con l’abbattimento di una superfetazione che, a ben vedere, non avrebbe neppure dovuto mai esserci visto che s’innestava incongruamente all’interno di una struttura nata per addizioni e cresciuta nel corso dei secoli, quando ancora si nasceva in casa e in casa si moriva, e all’ospedale si ricoveravano i miserabili e i forestieri.
Erano piccoli e numerosi, gli hospitalia di un tempo, dotati di pochi giacigli, gestiti per lo più dalle confraternite che assistevano con singolare zelo i poveracci che si rivolgevano alla loro carità.
La maggior parte di essi erano stati fondati al tempo della peste nera, come quello di San Sebastiano adiacente alla chiesa di Santa Maria delle Valli, più tardi destinato ad accogliere intra mœnia le clarisse di Santa Lucia, o quello di Santa Maria della Misericordia associato all’ospedale senese di Santa Maria della Scala, il più bello e meglio dotato, come testimoniano ancora i resti dell’edificio parzialmente distrutto dal terremoto del 1898, all’angolo fra la pennina di piazza e il Corso.
Gli Statuti Civici del tardo medioevo impegnavano la comunità a garantire per sempre il sostegno finanziario al pio istituto di ricovero.
Altri hospitalia assolvevano a compiti di assistenza più specifici, come quello intitolato al Santo Spirito, destinato agli orfani ed ai proietti ad imitazione del complesso romano fondato da papa Innocenzo III, o proprio quello delli furfantelli, quasi uno ptocomio affidato all’Ordine Ospedaliero dei Canonici Regolari di Sant’Antonio Abate, costruito ai margini della città vecchia, quasi a cerniera con l’area pianeggiante su cui durante l’età moderna Rieti si sarebbe sviluppata intorno alla piazza del Leone.
Nella lenta, graduale trasformazione della società che vide prevalere la cura del corpo rispetto alla cura delle anime l’ospedale di Sant’Antonio Abate dimenticò e fece dimenticare la sua primitiva vocazione di assistenza agli ultimi specializzandosi grazie alla gestione affidata dalla Congregazione del SS.mo Sacramento alla gestione dei Chierici Ministri degli Infermi nel trattamento delle malattie più diffuse.
E questo ci narra la storia preunitaria riguardo all’Ospedale vecchio. Il resto è poco più che cronaca, che con la demolizione dei prefabbricati scrive ancora una pagina che ci auguriamo sia la prima di un nuovo racconto.