Giugno 2021

RIETI MISTERIOSA

PALAZZO JAVARRONI: STORIA DI UN TESTIMONE DEL TEMPO

storia, storie

 

di Stefania Santoprete - Palazzo Javarroni si staglia in via della Verdura, affacciato sul sagrato della chiesa della confraternita di Santa Maria del Pianto, che ospitò all’incirca per un secolo l’educandato femminile delle Oblate del SS.mo Bambino Gesù e di cui ci racconta la prof. Ileana Tozzi.

“La pia congregazione si costituì a Rieti grazie all’impegno prodigato dalla nobildonna Isabella Breccika Milesi, sostenuta nella sua impresa dl vescovo Ippolito Vincentini (1670-1701) e dal

canonico Pietro Javarroni, che teneva in cura d’anime la pia vedova Milesi e le sue commensali,

Il canonico nel suo testamento destinò alle Oblate del SS.mo Bambino Gesù la proprietà del palazzo di famiglia, un ampio edificio sito lungo il tratto terminale di via della Verdura, la cui semplice facciata intonacata, dai portali e dalle finestre incorniciati da laterizi, s’incurvava secondo  l’andamento irregolare della strada.

Lo stabile, secondo le clausole del testamento, sarebbe diventato di proprietà di Isabella Breccika Milesi solo se entro un anno dalla morte del benefattore costei avesse provveduto a sua volta a nominare quattro eredi scelte fra le Commensali della Congregazione reatina del SS.mo Bambino Gesù.

I familiari del canonico Javarroni, considerando lesi i loro diritti di eredi legittimi, denunciarono  la Milesi accusandola di aver circuito l’anziano prelato.

La causa non ebbe però luogo, poiché il vescovo Vincentini s’impegnò a mediare fra le due parti, consigliando alle Oblate del SS.mo Bambino Gesù di cedere alla famiglia del canonico quel segmento del palazzo che affacciava sul sagrato della chiesa confraternale, accontentandosi di utilizzare per la propria casa religiosa la porzione di fabbricato delimitato da via del Burò e via della Verdura.

Isabella Breccika Milesi dedicò gli ultimi anni della sua vita ad allestire l’edificio adeguandone gli ambienti alle necessità della congregazione, «ordinata ed instituita per la riforma de costumi delle zitelle, per sbandire da queste la vanità del vestire, per insegnargli il vero modo del viver Cristiano, e frequentare li Santi Sacramenti, per incamminarle allo stato di vere, e perfette Religiose Claustrali, per edificare i Prossimi con il buon esempio, e con l’essercizio pratico di tutte le virtù Cristiane, e per essercitare tutti quell’ufficij di Christiana Charità nel sesso femminile, che esercitano co’gl’huomini (& al particolare con li sacerdoti) li RR.PP. della Missione» (Ms. dell’Archivio Storico della Congregazione delle Oblate del SS.mo Bambino Gesù di Rieti, Notizia dell’Istituto, e quali debbano essere le Zitelle, che vorranno abbracciarlo).

La costituzione della congregazione prevedeva vari profili a cui corrispondevano mansioni e responsabilità diverse: le Convittrici Novizie, le Novizie Professe, le Convittrici, le Commensali Vedove, le Educande, le Monacande, le Officiali, le Serventi.

Quanto agli spazi comuni,  erano essenziali gli ambienti del parlatorio, del refettorio, dei dormitori, della «libreria comune», dell’infermeria, della cucina e della dispensa, oltre ai «pubblici laboratori, o officine» ed all’oratorio.

Fu cura di Isabella Breccika Milesi  dotare la sede del suo educandato di una piccola ma elegante cappella decorata di raffinati stucchi rococò, consacrata al SS.mo Bambino Gesù.

La comunità delle Oblate entrò nella sede di palazzo Javarroni il 13 marzo 1709: vi sarebbe rimasta poco meno di un secolo, fino all’anno 1803 quando il vescovo Saverio Marini assegnò loro il grande complesso di Santa Caterina d’Alessandria, abbandonato dalle Benedettine.

Il palazzo dopo gli inizi dell'Ottocento fu utilizzato come appartamenti da affitto. Il peggio accadde alla piccola cappella al pianterreno, che era stata decorata con stucchi piuttosto belli ed aveva i caratteristici coretti che consentivano di partecipare alle liturgie senza muoversi di casa”

Con un salto nel tempo lo vediamo negli anni 50 accogliere decine di famiglia che spalmate sui vari piani vi alloggiavano. Nidiate di bambini si rincorrevano su e giù per quelle scale: tra loro c’era Renzo Tarani, discendente dei proprietari di alcuni di quei locali “Nonno realizzava al pianterreno le ruote dei carri, tutto il materiale della falegnameria era all’interno della cappella, il cui pavimento era stata rialzato a protezione delle pianare. Ricordo dei piccoli angioletti di gesso con cui giocavamo…. La carrozzeria invece aveva ingresso dinanzi alla chiesa di San Nicola e vi rimase per lungo tempo. Sempre negli ampi spazi interni c’era la lavanderia di Micacchi, che si occupava delle divise dell’Esercito trasportandole anche a Roma”.

Oggi tutto è nelle mani dell’Ater, ente preposto alla costruzione e alla gestione degli alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica che ha come obiettivo quello di realizzarvi 13 alloggi per un finanziamento regionale di 1.584.375 euro. “Innanzitutto procederemo all’abbattimento di questa superfetazione postuma, ripristinando la facciata originale” spiega l’ingegnere Enrico Carotti che ci ha accompagnato nel sopralluogo del pianterreno. Colpisce lo spazio a disposizione dopo lo sgombero degli ambienti, mentre sono stati conservati i macchinari della lavanderia. Qui verranno realizzati delle abitazioni per disabili, mentre gli altri 10 saranno sui due piani. Un bel cortile occupa lo spazio sul retro, sarebbe bello poterlo restituire ad un vicolo che da sempre ha vissuto la quotidianità all’esterno, magari trasformandolo in giardino. “Esiste un progetto preliminare approvato per il restauro del palazzo.. Ora recependo le nuove direttive della Soprintendenza stiamo facendo ulteriori passi.” Appare finalmente la famosa cappella che in molti, negli anni, abbiamo cercato invano di scorgere, sbirciando attraverso le fessure del portone di legno di Via della Verdura e che vi presentiamo nelle numerose foto di Michele D’Alessandro.

foto di M. D'Alessandro

 

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