di Andrea Carotti - Dopo il brillante esordio nel 2017 con I figli della notte, vincendo il Nastro d’Argento come miglior regista esordiente e le tre stagioni di Baby (serie TV Netflix), torna dietro la macchina da presa con un altro lungometraggio Andrea De Sica. Tra horror, thriller e romanticismo dark Non mi uccidere, disponibile sulle piattaforme di noleggio e acquisto dal 21 aprile, conferma ancora una volta che il cinema di genere italiano sta sfornando autori talentuosi con idee e stili interessanti. Tratto dall’omonimo romanzo di Chiara Palazzoli Non mi uccidere è un coming of age oscuro in cui passato e presente si intrecciano formando un’opera pop/trap che parla direttamente alle nuove generazioni. Non a caso i protagonisti principali, oltre a Giacomo Ferrara (Suburra) che interpreta in un ruolo secondario Ago, abbiamo Alice Pagani (Baby) e Rocco Fasano (Skam), volti molto apprezzati dal pubblico giovane per i personaggi che hanno interpretato nelle rispettive serie televisive, entrambe di successo.
Mirta (Alice Pagani) è una giovane ragazza introversa e sensibile. Si innamora perdutamente di Robin (Rocco Fasano), ragazzo solitario bello e dannato che le fa una promessa: il loro amore sarà eterno. I due, in una cava abbandonata, si lasciano andare ad una trasgressione che costerà la vita ad entrambi. Mirta torna nel mondo dei vivi ma nulla sarà più come prima: Robin è scomparso e un misterioso gruppo di uomini, i Beneandanti, le danno la caccia. Mirta capisce di non essere più la stessa e che per sopravvivere deve nutrirsi di carne umana. È diventata una Sopramorta.
La sposa cadavere e James Dean in una storia d’amore macabra e malata. Il riferimento al film di Tim Burton non è per le atmosfere o la descrizione del mondo dei morti poiché quest’ultimo nel grottesco film in stop-motion è allegro rispetto al tetro, gotico e burocratico mondo dei vivi. Nel film di De Sica, invece, il mondo in cui Mirta si ritrova dopo la morte e dove tutti i ragazzi morti in modo violento si ritrovano è sempre lo stesso in cui hanno vissuto da vivi ma in una forma più oscura, cupa, desolata e che richiama per certi versi il terrificante “altrove” visto in Insidious di James Wan. La nostra protagonista, quindi, smarrisce sé stessa: in una scena di Cronenbergiana memoria si guarda allo specchio, vede le sue mani nere e in decomposizione e si stacca un’unghia (citazione a La Mosca?), poi incontra il suo sguardo allo specchio e nota che ciò che vede è un’altra Mirta, una versione inquietante e con uno sguardo demoniaco. Chi è veramente Mirta, cosa è diventata? Il regista ci pone davanti alla dualità della sua protagonista che, come in Us di Jordan Peele, deve far fronte ad una lotta interiore tra bene e male. Il tema dell’abbandono e il passaggio dalla gioventù all’età adulta porta con sé appunto un dualismo fatto di disillusione e rabbia. Mirta è l’eroina di questa storia, ma non è la sola ad essere tornata dalla morte come crede. Incontrerà Sara (Silvia Calderoni), Sopramorta che le viene in soccorso, la quale le spiegherà che ora è considerata “cattiva”, una creatura che per sopravvivere deve uccidere. Andrea De Sica racconta con la giusta dose di cattiveria come le donne non siano sempre libere di fare le loro scelte ma condizionate o addirittura obbligate dagli uomini che incontrano, che amano e non. Mirta si trova in quella situazione non per sua scelta ma per scelta egoistica e arrogante di qualcun altro. Per questo, come Sara spiega a Mirta, i Sopramorti scelgono accuratamente le proprie vittime per sfamarsi (violenti, assassini, molestatori). Il girl power è presente nella storia, ma mai trattato in maniera superficiale o scontata.
La splendida fotografia di Francesco Di Giacomo sceglie di puntare sulle luci e sui colori caldi e rassicuranti per raccontare il passato di Mirta, mentre scurisce i toni e rende il racconto freddo, livido e dark nel suo presente. Non mancano i cliché tipici del film dell’orrore come la scelta di ambientare alcune scene nei boschi o in cimiteri spettrali. Nostalgiche le riprese nelle discoteche che richiamano molto le atmosfere di Baby. Non mi uccidere riprende quindi il romanzo della Palazzolo ma lo trasporta al quotidiano utilizzando tematiche attuali e il linguaggio tipico dell’horror andando oltre le solite soluzioni che il cinema generalista spesso adotta, in questa pellicola infatti si osa, non si ha paura di mostrare, si affrontano con la giusta dose di crudeltà temi importanti: il sesso, la solitudine, il suicidio, l’amore, il lutto, l’abbandono, la diversità. Una storia universale che De Sica racconta sperimentando tra i vari sottogeneri dell’horror: si va dai classici dei mostri come gli zombie e i vampiri, storie di possessioni, per poi passare nella seconda parte del film alle atmosfere da revenge-movie e splatter. La fotografia da sotterraneo, da cantina quasi metropolitana che vediamo nelle scene del rifugio dei Beneandanti ricorda i luoghi strazianti, insanguinati e sudici dove gli aguzzini in Hostel di Eli Roth torturavano le sciagurate vittime. Si cita il cinema di Luc Besson, di David Lynch e si nota l’amore del regista per capolavori come Possession di Andrzej Żuławski e La Mosca di David Cronenberg.
La razza emarginata dei Sopramorti a cui viene data la caccia dal 1600 ricorda la società che cercano di formare i vampiri-zombie ne L’ultimo uomo sulla Terra di Ubaldo Ragona del 1964, in cui un gruppo ristretto di persone sopravvissute a un’epidemia convivono con il fatto di essere contagiati ma non trasformati in vampiri per formare una nuova razza la quale tenterà di uccidere chi dà loro la caccia ovvero il nostro protagonista, il dottor Robert Morgan, che per tutto film crediamo stia dalla parte della ragione. Un film sulla sopravvivenza, in cui l’antagonista è sempre l’uomo e non il mostro nel senso più banale del termine. Il vero mostro sono le atrocità che l’uomo è in grado compiere.
Funzione importante per il film la fanno le musiche, sia quelle originali scritte dal regista con Andrea Farri, sia quelle di repertorio che includono brani che sin dall’inzio della storia ci indicano il forte carattere pop dell’opera, come ad esempio Blinding Lights di The Weeknd e I’m Notin Love di Kelsey Lu fino a Non mi uccidere, brano scritto da Jake La Furia ed interpretato da Chadia Rodriguez.
Una coppia che dimostra una bella alchimia quella tra Alice Pagani e Rocco Fasano che sono sicuramente due dei talenti più promettenti in circolazione. Il lavoro sul corpo della Pagani è il tratto che più spicca del personaggio che interpreta oltre all’espressività e all’uso della voce che in due o tre sequenze in particolare sono notevoli. La presenza scenica di Fasano conferma quanto già visto in Skam dove probabilmente ha interpretato il miglior personaggio di tutta la serie televisiva. Viso estremamente cinematografico, quando entra in scena cattura totalmente l’attenzione, magnetico.
24-04-21