Un numero crescente di individui, giovani maschi africani, riempiono le città, si posizionano fuori dai centri commerciali del centro e delle periferie, nei parcheggi degli ospedali e degli edifici pubblici, davanti alle chiese, ai negozi e alle banche. La maggior parte è composta da nigeriani, che al mattino lasciano i centri di accoglienza in cui sono ospitati dallo Stato, per prendere posizione nei punti strategici identificati dall'organizzazione che li sfrutta. Ma ci sono anche individui regolarizzati, alcuni con famiglia in Italia.
Si tratta, in entrambi i casi, di soggetti che sono in debito nei confronti dell'organizzazione criminale nigeriana, che in genere è legata ai gruppi operanti in Nigeria che gestiscono il traffico illecito di esseri umani attraverso la Libia e il Mediterraneo.
Non sono soli, si muovono in gruppo, all'interno di un'organizzazione affinata, capace di distribuire razionalmente le risorse sul terreno con squadre di trasporto, di garantire il "controllo del territorio" con nuclei di vigilanza, e di creare una "cornice di sicurezza" allontanando gli altri professionisti dell'elemosina, o le persone che povere lo sono sul serio.
L'organizzazione impone gli “strumenti di lavoro” da utilizzare: sempre un cappellino usato per impietosire i passanti e per far intendere, attraverso il “linguaggio non verbale”, il proprio stato di necessità; ma anche un telefono cellulare, con cui rimanere in contatto con l'organizzazione e per ricevere istruzioni.
È una presenza che in molte città, attraverso la violenza e l'intimidazione, è riuscita in meno di due anni a scacciare dal mercato dell'elemosina la criminalità etnica Rom, gestita da gruppi provenienti dalla Romania. Il che fa capire quanto potente sia ormai la criminalità nigeriana.
Sono centinaia di individui in ogni città; ma il problema è internazionale. Si tratta nel complesso di migliaia di individui, capaci di alimentare un mercato nero della schiavitù che rende centinaia di milioni di euro l'anno.
Tutto questo è criminalità organizzata. E chi, pur in buona fede, alimenta economicamente questo mercato, anche solamente con pochi spiccioli, sostiene una criminalità sempre più vorace e aggressiva, che non si ferma di fronte a nulla.
Una situazione che ha trovato terreno fertile in cui radicarsi anche in altri paesi. Ritengo che vi sia la necessità di strategie atte a contrastare quella parte dell'opinione pubblica convinta della necessità di dover aiutare economicamente tali soggetti, indipendentemente dallo status di soggezione e “schiavitù” e dal loro ruolo nella macchina dello sfruttamento di esseri umani, e, dall'altro lato, a recidere la radice dell'arricchimento di una criminalità organizzata violenta e senza scrupoli.
Coinvolgendo, le forze dell'ordine, di associazioni caritatevoli che si occupano del monitoraggio della povertà e dell'assistenza ai veri bisognosi. Questo potrebbe essere un primo passo per sensibilizzare tutti sul fenomeno della criminalità dietro all'accattonaggio, segnalare situazioni di reale difficoltà e prevenire attività di questua basata sullo sfruttamento
Vi chiedono soldi? Offrite loro del cibo. Chi è sfruttato dal racket, pur dichiarando di avere fame, non accetta altro che denaro.
E il denaro è ciò che vuole la mafia nigeriana, e non solo, dai suoi schiavi con cappello.