di Massimo Palozzi - Mercoledì gli studenti italiani hanno affrontato la prima prova degli esami di maturità. Con il ritorno degli scritti è sembrata ristabilirsi definitivamente la situazione di normalità andata perduta durante gli anni del Covid. Il primissimo impegno ha riguardato, come da tradizione, il tema di italiano. Nel complesso sono state proposte sei tracce. Se i candidati potevano sceglierne una da sviluppare, oggi proviamo a fare un gioco, affrontandole tutte nelle loro implicazioni con la realtà reatina.
La prima proposta invitava all’analisi di una poesia di Salvatore Quasimodo del 1958. “Alla nuova luna” racconta l’incanto e insieme l’apprensione per un futuro all’epoca solo immaginato dopo il lancio in orbita l’anno precedente del primo satellite artificiale Sputnik 1 ad opera dell’Unione Sovietica. Nel brano l’autore accomuna le luci artificiali del satellite a quelle naturali delle stelle messe lì da Dio e quasi sembra immaginare il “sorpasso” dell’uomo sul Creatore con un definitivo “Amen”.
C’è stato un tempo in cui a Rieti l’illuminazione pubblica era diventata addirittura uno slogan politico. L’allora sindaco Antonio Cicchetti si era guadagnato il soprannome di “sindaco delle lampadine” perché ad ogni lampione malfunzionante o più in generale ad ogni buca per strada o altre problematiche del genere, si dava pronta risposta senza nemmeno la mediazione dei social. Bastava una telefonata a una trasmissione televisiva con Cicchetti ospite e il giorno dopo partiva una squadra a verificare la segnalazione e a riparare il guasto. Non era esattamente uno stile di governo votato alle massime imprese, ma la popolazione gradiva. Oggi invece l’abbandono, la scarsa cura, il disinteresse dominano la scena pubblica. Uno sfalcio d’erba viene celebrato come un evento epocale, mentre le strade sono dissestate più che mai; non esiste una politica per il centro storico (da ultimo la bizzarra sistemazione dei parcheggi intorno al monumento alla Lira in piazza Cavour) e tutto galleggia verso un indecifrabile domani. Perfino il Parco dello sport e del benessere di via Dupré Theseider, inaugurato appena un anno fa, versa in una condizione di imbarazzante abbandono.
La seconda traccia somministrata agli studenti rimandava a un brano tratto da “Gli indifferenti”, romanzo d’esodio di Alberto Moravia del 1929. Il titolo del libro già racchiude la filosofia di fondo. Nel frammento offerto all’analisi dei maturandi si affronta un momento drammatico: l’imminente sfratto dalla villa di famiglia con la prospettiva di finire in povertà che atterrisce la protagonista abituata ai lussi e al potere garantiti dal denaro. Traslato alla realtà dei giorni nostri, il passaggio sembra ripercorrere le tante cose andate perdute (speriamo non irrimediabilmente) anche in città. È di questi giorni l’annuncio dei lavori per la ristrutturazione del Circolo di lettura adiacente al teatro Flavio Vespasiano e dell’approvazione da parte della giunta del progetto definitivo per il ripristino e il cambio di destinazione d’uso dell’ex mercato coperto di via Potenziani. Sono solo sue esempi di risorse lasciate deperire nel tempo. Se ne potrebbero aggiungere tante altre: dallo Zuccherificio al vasto parco ex industriale nei dintorni, all’aeroporto Ciuffelli abbandonato nel degrado, alla piscina coperta del Terminillo, all’ex carcere di Santa Scolastica, all’ex ptocomio Manni, fino all’Ospedale vecchio e all’Istituto Strampelli a Campomoro, per i quali pure si sta tentando un difficile recupero. Il punto è che si interviene sempre in ritardo e sempre con l’approccio piuttosto indisponente di pretendere di trasformare la responsabilità per il deterioramento che si è permesso si compisse, nel merito della riabilitazione più o meno effettiva ma sempre molto annunciata (per di più a caro prezzo).
La terza traccia riconduceva a un saggio di Federico Chabod del 1961, “L’idea di nazione”. Il testo prescelto richiama i valori di libertà e indipendenza contenuti nel pensiero politico di Cavour e di Mazzini, con l’aggiunta per quest’ultimo dell’importanza di appartenere all’Europa. A Rieti non mancano né la libertà né l’indipendenza né, probabilmente, la convinzione che si stia meglio in Europa invece che per conto proprio. Questo almeno a livello astratto. Nel concreto, libertà e indipendenza si guadagnano nel piccolo con il costante lavoro istituzionale per ottenere il maggior peso politico possibile a fronte di una limitata dimensione numerica della popolazione. Perdere, come è avvenuto, la Banca d’Italia, la Camera di commercio, l’Archivio notarile distrettuale, la sezione distaccata del tribunale di Poggio Mirteto (con il costante timore di vedere soppresso anche quello del capoluogo) non significa solo perdere pezzi di enti pubblici, ma anche retrocedere in termini di agibilità politica con conseguente riduzione degli spazi per far ascoltare la propria voce perfino di fronte ai disastri naturali. I ritardi nella ricostruzione post-terremoto ne sono l’esempio concreto.
Per il quarto tema la scelta è caduta su un brano tratto da “Dieci cose che ho imparato” di Piero Angela. Il famoso giornalista-divulgatore recentemente scomparso pone in risalto l’importanza crescente del pensiero umano come “materia prima”. L’elaborazione intellettuale e la conoscenza costituiscono gli elementi di quella che è stata definita “distruzione creativa”, consistente nel superamento (spesso per niente indolore) del precedente assetto ormai obsoleto, sostituito da schemi produttivi più attuali. Cultura e innovazione sono insomma le leve sulle quali agire. A livello locale la ricerca di forme nuove di espressione artistica e imprenditoriale appare vivace ma lasciata spesso all’iniziativa dei singoli. Solo da poco l’università cerca di uscire dallo stato embrionale in cui è sostanzialmente rimasta fin dall’epoca della sua fondazione. Gli sforzi sono apprezzabili ma non si riesce a cogliere un orientamento, una linea programmatica: si vuole puntare su un parco scientifico a sostegno dell’industria? Oppure perseguire uno sviluppo più orientato all’area medica con un ospedale di eccellenza come perno? O più semplicemente approfittare di qualsiasi opzione offerta dagli atenei partner tanto per riempire caselle senza un piano preordinato? Sono domande al momento senza risposta, mentre un mese fa è stata siglata la transazione tra la Sabina Universitas e il Consiglio dell’Ordine degli avvocati per l’uscita dal Consorzio di cui l’organo di rappresentanza delle toghe reatine è socio dal 2001. Il 17 luglio è fissata l’udienza davanti al tribunale delle Imprese per la ratifica, mettendo così fine a un lungo (e poco edificante) contenzioso che oppone da tempo i legali della provincia alla Sabina Universitas, dalla quale l’Ordine si vuole sfilare per i contributi economici richiesti a fronte della mancata istituzione di corsi in materie giuridiche.
La quinta traccia riproponeva l’eterno dilemma se la storia sia fatta da tutti o da pochi eletti. È un passaggio chiave del libro di Oriana Fallaci “Intervista con la storia”, pubblicato nel 1977. Per la grande giornalista fiorentina la risposta è che a indirizzare il corso degli eventi sia un numero ristretto di leader politici. Lo sguardo si potrebbe allargare verso altri componenti della classe dirigente di un paese o anche di una provincia o di una città. A Rieti è difficile immaginare un pantheon di padri della patria e tutto sommato bene così. Il padrinaggio politico assicura momenti di benessere e fortunato chi ne può godere, però è meglio che le scelte vengano orientate dal basso. Se poi queste scelte siano state felici, è un altro paio di maniche.
Il sesto tema prendeva le mosse da una lettera aperta indirizzata nel dicembre 2021 da un gruppo di intellettuali all’allora ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi per chiedere la reintroduzione degli scritti all’esame di maturità, dopo la sospensione dovuta alla pandemia. Il motivo era la necessità di un ritorno a una scuola meno indulgente e al ripristino dei concetti di impegno, sacrificio e responsabilità nei giovani che si affacciano all’età adulta. In senso lato l’appello è condivisibile e andrebbe esteso ai rappresentanti della vita pubblica locale, dove troppe posizioni di potere risultano ancora di difficile avvicendamento. Non soltanto all’interno della cerchia politico-partitica, ma anche negli ambiti in cui si è conosciuto un oggettivo ricambio generazionale per la eccessiva ricorrenza di nomi noti e delfini allevati in cattività.
Per chiudere, l’ultima traccia traeva spunto da un articolo di Marco Belpoliti uscito su Repubblica il 30 gennaio 2018, dal titolo “Elogio dell’attesa nell’era di WhatsApp”. Nel pezzo lo scrittore e critico letterario rimpiange la lentezza di un tempo, quando la comunicazione e le attività umane nel loro complesso era meno veloci, lasciando spazio all’attesa che non era percepita come vuoto ma come intervallo comunque ricco di significati e sentimenti. Ora l’immediatezza domina le relazioni, in una fenetica pretesa di tutto e subito, a scapito della qualità dei rapporti interpersonali. Sono con ogni probabilità considerazioni di un maturo signore oggi alla soglia dei settanta che i giovani faticano a comprendere, prima ancora che a condividere. Ma sul punto a Rieti siamo imbattibili: dalla Salaria alla ferrovia, dalla ricostruzione del dopo sisma al più banale Piano urbano del traffico, sembriamo nati per aspettare.
25-06-2023
ph A. Antonelli