“[Dopo la sua prima apparizione su un palco, a cinque anni] Da quel momento in avanti, lo showbusiness mi entrò nel sangue. Insieme alla solitudine.” Jerry Lewis
(di Andrea Carotti) - Esiste la serie TV perfetta? Quella che ti fa sorridere, commuovere, riflettere e divertire? Esiste una serie magica che, raccontando una storia semplice, ti trasporta mente e corpo al suo interno? Dopo aver visto “La Fantastica Signora Maisel” la risposta non può essere che sì. La serie televisiva statunitense Amazon Studios creata da Amy Sherman-Palladino è trasmessa sulla piattaforma dal 2017 per un totale di tre stagioni ed una quarta in cantiere. Il mondo dello spettacolo degli anni ’60 richiama certamente a sé un’aura particolare, l’atmosfera unica della New York di un tempo rivisitata in chiave divertente e alternativa. La nostra protagonista Midge (Rachel Brosnahan) è il vero cavallo di battaglia, un’inconsapevole paladina delle donne che si batte per spiccare in un ambiente, quello della comicità, in cui non è facile emergere. La lotta per uscire dal banale della quotidianità, di una vita fatta di giorni l’uno identico all’altro affidandosi al suo naturale potere ironico e sarcastico e illuminando anche chi di caro ha intorno ad abbandonare la cieca via del pensiero chiuso per intraprendere un percorso più libero e aperto. Un giorno suo marito Joel (Michael Zegen) rivela di averla tradita e decide di andarsene lasciandola di stucco; pensava di avere una vita perfetta, pensava di regalare al marito una vita perfetta. Cosa aveva sbagliato, si chiede. Dopotutto era la moglie che ogni uomo desiderava: ogni giorno si misurava il suo corpo per assicurarsi delle giuste proporzioni, era sempre gentile e sorridente con amici e colleghi di Joel, una figlia diligente e un appartamento degno di una contessa, si alzava sempre qualche minuto prima di Joel per sistemarsi capelli e viso per farsi trovare più bella possibile al risveglio del coniuge. Insomma, perché? La vita perfetta che si era costruita si frantuma, forzando la nostra Midge ad aprire gli occhi su un mondo che, in fondo, non aveva vissuto a pieno. Da questo evento in poi la trama si sconvolge, diventando quasi surreale per lo spettatore, che si trova davanti improvvisamente una protagonista rinnovata. Decide di dedicarsi alla stand-up comedy, comicità peculiare dell’epoca e, nonostante qualche dubbio la induceva a non credere in sé stessa, riesce a tirare fuori lati del carattere che probabilmente fino a quel momento aveva represso. Le scelte di vita che inizia a fare cominciano ad influenzare inevitabilmente anche la famiglia, scalfendo quella “normalità” e “tradizione” che la distingueva e, soprattutto, stravolgendo la loro esistenza mettendo a confronto le persone che erano prima di questa vita e ciò che sono diventati. I personaggi della serie sono caratterizzati benissimo, non si può non amarli ed empatizzare con loro. La comicità amara poi di alcuni fa riflettere con il sorriso lo spettatore che non può che affezionarsi al tutto. Bisogna anche dire che non troviamo praticamente mai dialoghi banali, i personaggi non sono buttati lì sulla scena a caso come non ci sono stereotipi a caso e, infine, le gag non hanno niente di scontato. Certamente quando parliamo di stand-up comedy discutiamo di una comicità figlia di quegli anni ma che negli Stati Uniti, soprattutto, vive ancora. I personaggi immensi che hanno fatto parte di questa scena hanno ispirato generazioni di comici in tutto il mondo: Jerry Lewis, Dean Martin, Bob Hope, Lenny Bruce, Tony Randall. Ma questi sono solo alcuni tra i nomi più influenti dell’epoca e prima di riaddentrarci nella recensione della Signora Maisel parliamo di uno dei più grandi sopracitati.
JERRY LEWIS
Dotato di una mimica straordinaria, di un'espressività vincente e di una grande vis comica, diverte gli spettatori da quando nel 1941, dopo essere stato cacciato dalla scuola a soli quindici anni, si butta a capofitto nello spettacolo. Mette a punto fin dall'inizio le sue qualità, studiando da mimo. Da lì a poco, si organizza ideando delle imitazioni su base musicale registrata. Debutta così nelle attrazioni delle sale cinematografiche della Paramount dove non resta a lungo inosservato. La svolta avviene per caso, nel 1946. Jerry lavora al Club 500 di Atlantic City, stesso locale dove conosce un cantante che si autoproduce, un allora sconosciuto Dean Martin, di nove anni più grande. Per uno scherzo del destino che li vuole sempre insieme, i due si ritrovano contemporaneamente sulla scena per errore. Come nei copioni dei migliori film, così dal cielo nasce una delle coppie più famose e più riuscite dello spettacolo. Il successo spalanca le sue braccia ai due artisti, che ben presto si danno anche al cinema, dove debuttano nel 1949 in "La mia amica Irma". Una parte da protagonisti, invece, la ottengono al loro terzo ciak in "Il soldato di legno", del 1951.
Tra le interpretazioni storiche di Jerry Lewis, non si può non ricordare "Il nipote picchiatello", del 1955. Dopo una serie di successi in collaborazione con Frank Tashlin, e con lo stesso Martin, Lewis decide di muoversi da solo. L'ultima pellicola che la coppia di amici gira insieme è "Hollywood o morte", del 1956, diretta appunto da Tashlin. Il duo formava una coppia perfetta, giocata com'era sulla stridente contrapposizione tra il tipico giovanotto intraprendente, affascinante, sportivo e sicuro di sé (Martin) ed il ragazzo timido, complessato e impacciato interpretato da Lewis.
Eclettico e dotato di numerosi talenti, Lewis si dà alla musica e alla produzione discografica oltre alla tv e agli show, divenendo anche produttore e sceneggiatore cinematografico e televisivo. Stufo di un certo clichè che lo perseguita, quello di essere solo una macchietta di straordinario talento, per dimostrare di saper recitare a 360 gradi, gira "Il delinquente delicato" un film in cui i toni amari e crepuscolari sono dominanti. Prima di diventare autore dei suoi film, però, interpreta altre due pellicole divertenti "Il balio asciutto" e "Il Cenerentolo".
Democratico impegnato, la superstar della Paramount comincia a prendere posizioni umanitarie. Nel 1960 arriva la sua prima, azzeccata, regia di "Ragazzo tuttofare", dove interpreta il ruolo di un muto maldestro e poi "L'idolo delle donne" (considerato una delle sue opere maggiori), storia di uno scapolo timidissimo rinchiuso in una pensione femminile. Da questo punto in poi, inanella un successo dietro l'altro, riprendendo anche il sodalizio con Tashlin in "Dove vai sono guai"e, lo stesso anno (il 1963), nell'esilarante "Le folli notti del Dottor Jerryll", riadattamento parodico del romanzo di Stevenson. Sempre negli Anni Sessanta Lewis dirige film in Gran Bretagna e Francia dove riceve un'accoglienza osannante per "Scusi dov'è il fronte?", omaggio a Charlie Chaplin. È il 1971: per nove anni, soprattutto per motivi di salute, l'attore si allontana dalle scene. Il ritorno avviene con "Bentornato Picchiatello", del 1979, passerella di gag.
La vena drammatica riemerge nella pellicola diretta nel 1983 da Martin Scorsese "Re per una notte", dove interpreta se stesso all'interno di una trama dai connotati tragici, volta ad esplorare i confini fra realtà e universo dello spettacolo e del culto della personalità che quest'ultimo porta inevitabilmente con sé.
Successivamente, è il protagonista di un'altra violenta satira sulla società americana intitolata "Qua la mano picchiatello". Il suo ultimo ciak, per il momento, risale al 1995 in Funny Bones.
Jerry Lewis rappresenta di fatto un miscuglio tra la tradizione comica americana e quella ebraica, grazie soprattutto alla trasfigurazione di un personaggio canonico della tradizione yiddish, lo Schlemiel, ossia il tipico individuo perseguitato dalla sfortuna. Alla 56a Mostra del cinema di Venezia, gli viene assegnato il Leone d'Oro alla Carriera.
Muore all'età di 91 anni a Las Vegas, il 20 agosto 2017.
Ora torniamo a noi e a “La Fantastica Signora Maisel”. I genitori di Midge, Abe (Tony Shalhoub) e Rose (Marin Hinkle), sono anch’essi personaggi che la trama stravolge ma questa volta non c’è nulla di drastico. Possiamo parlare di un cambiamento più reale e meno romanzato anche se più che cambiamento, sarà la consapevolezza di non essere realmente felici ciò che li scuoterà. Rose, dopo l’improvviso cambiamento della figlia, si accorge di non essere più un riferimento per lei, realizza di aver assecondato per anni i capricci e la noiosa quotidianità del marito. Si sente inutile, superflua, emozioni che la porteranno ad allontanarsi per un po’ di tempo. Abe d’altro canto è un uomo di scienza, un insegnante universitario di matematica; vive la vita seguendo il suo copione, estremamente tradizionalista. Anche lui, dopo la fine del matrimonio della figlia, vede tutto ciò che gli circonda sgretolarsi, ma sarà proprio Midge a indirizzarlo anche se inconsapevolmente verso un viaggio spirituale che lo porterà a confrontarsi con sé stesso e capire quali sono le cose importanti e come rendere loro le giuste attenzioni. Tutto ciò porta questi personaggi ad essere più complessi e sfaccettati, nonostante mantengano comunque la loro indole, ottusità, vizi e esilarante comicità. Crescere vuol dire diventare qualcun altro? Probabilmente no, piuttosto che abbandonare chi si era prima bisognerebbe scoprire qualcosa di nuovo su di sé, nuovi lati e stimoli che erano nascosti. La nostra protagonista durante le tre stagioni ne affronta di tutti i colori, tra gioie e dolori, amicizia e solitudine, vittorie e sconfitte. Sono cambiate molte cose da quando era la moglie perfetta con l’acconciatura sempre in ordine, eppure lei non è mai cambiata, restando sempre Midge, la signora Maisel. Durante un suo sketch parlando del femminismo, ci dice che essere femminista non significa odiare i bei vestiti, le scarpe col tacco, i bambini, il colore rosa. Si può essere femministe e donne in carriera senza abbandonare la propria vocazione di casalinga e madre.
La comicità è senza dubbio la vera forza portante della serie, vive momenti irresistibili, fa uscire i personaggi dalla loro zona di comfort portandoli anche a fare ironia e sarcasmo su sé stessi e, nel caso di Midge, ad essere inizialmente una valvola di sfogo per poi diventare una passione e professione. D’altronde la scoperta di questa passione è in realtà qualcosa che dentro di lei ha sempre avuto, che le ha permesso di esprimersi senza censure senza avere paura di rivelare la sua vera identità o costruire un personaggio fittizio che renderebbe vani i propri tentativi. La sincerità e la spontaneità saranno poi la chiave per emergere tra la massa di comici (prevalentemente uomini) troppo pieni di sé per accettare critiche o peggio ancora fare autocritica, incapaci di ammettere i propri errori. Uno di questi è proprio Joel, il marito, che è il primo, nella serie, a manifestare la passione per la comicità, ma troppo preso dalla voglia di successo per individuare i propri limiti e perdere così l’ironia necessaria alla professione.
La notevole scrittura di Amy Sherman-Palladino, insieme al marito Daniel Palladino (già noti per la serie di successo Gilmore Girls-Una mamma per amica) si prende il merito di una struttura narrativa naturale convincente, che accompagna i personaggi descritti nella loro evoluzione passo dopo passo. Prima parlavamo di Jerry Lewis e non a caso possiamo affermare che l’attenzione della serie sui grandi comici del passato è evidente: i continui riferimenti a cantanti jazz, ai club che ospitavano molti dei comici che poi sarebbero andati in televisione, le citazioni alle celebrità più influenti dell’epoca come Elizabeth Taylor e Kim Novak. Uno show televisivo costruito attorno a un altro valore indispensabile per la protagonista: l’amicizia, declinata soprattutto in chiave di solidarietà femminile. La tecnica e l’estetica di Mrs. Maisel: la dinamicità della regia rende le inquadrature fluide, colme di dettagli e pronte a rivelarci una messa in scena incredibile carica di comparse con costumi evocativi bellissimi e scenografie dettagliate talmente fedeli che potrebbero tranquillamente provocare un effetto nostalgia ai più navigati. Per non parlare delle coreografie, quadri animati da sprizzanti colori vivaci. La sensazione che ne risulta è quella che i personaggi siano sempre parte di un musical degli anni ’60, anche quando vivono la loro quotidianità.
Il tipo di comicità trattata si fonda prevalentemente sul politicamente scorretto, dal sesso e la religione, alle differenze culturali dello stile di vita newyorkese. Il climax drammatico è in realtà comico: dopo una vagonata di nomi di comici importanti, come Bob Newhart, o Lenny Bruce, è Charlie Chaplin quello che salta fuori dal cilindro alla fine, colui che ha saputo estrapolare la comicità dalla tragedia, come a voler sottolineare che l’una non può esistere senza l’altra. Amy Sherman-Palladino scriveva delle donne e per le donne già più di vent’anni fa. Ma sebbene si tratti di un punto di vista femminile, The Marvelous Mrs. Maisel non è un’opera esclusivamente mirata alle donne. Vivendo in un periodo storico in cui il ruolo femminile nello show business viene riconsiderato continuamente (basta guardare anche i casi più famosi in Italia, anche recenti), Mrs. Maisel è una serie da guardare assolutamente e che nessuno dovrebbe perdersi. Senza contare i premi che vanta: 16 Emmy Awards e 3 Golden Globe. La nostra protagonista, Midge, insieme alla sua manager Susie (Alex Borstein), rappresentano ideali femministi diversi. La prima è una giovane donna in carriera, ma anche una madre, che cerca di affermarsi in un mondo ancora piuttosto ostile superando tutti gli stereotipi e i modi di pensare obsoleti, mentre la seconda è un maschiaccio che si intrufola in un ambiente circondato esclusivamente da manager, imprenditori e uomini d’affari. Rachel Brosnahan (Midge) è una meraviglia, un ruolo cucito su di lei. Rappresenta un’incredibile icona rivoluzionaria per l’epoca in cui vive semplicemente restando sé stessa e non avendo paura di esserlo.
“Sei così bella: perché la comica, non sai cantare?”
Se sei una donna non puoi essere divertente. Se sei madre non puoi fare la comica. Se sei bella e sali sul palcoscenico puoi solo essere una cantante. La signora Maisel è la moderna battaglia per la conquista del palcoscenico da parte delle donne, confermandosi nella terza stagione decisiva e determinata a portarla avanti parlando e ascoltando, proprio come si fa nella stand-up comedy.
I CONCENTRATI – UN CLASSICO
RE PER UNA NOTTE di MARTIN SCORSESE
Dopo aver preso in esame The Marvelous Mrs. Maisel e aver ripercorso brevemente la biografia di Jerry Lewis è doveroso spendere due parole su un film emblema del tema della comicità, interpretato dallo stesso Lewis nel ruolo del co-protagonista insieme a Robert De Niro nel ruolo di Rupert Pupkin. “Re per una notte” di Martin Scorsese.
Un aspirante comico decide che può ottenere successo solo con l'aiuto del conduttore di un famoso programma americano. Tuttavia, quando la stella della televisione non partecipa al piano ideato dall'uomo, quest'ultimo, disperato, lo rapisce.
Sono tanti i motivi per ricordare Re per una notte, partendo da un incredibile De Niro, che entra nel personaggio in maniera semplicemente perfetta, regalando una performance che ogni aspirante attore dovrebbe prendere come riferimento. Stupisce anche il ruolo insolitamente serio di Jerry Lewis, che interpreta un personaggio molto simile a quello che era lui in quel momento, donandogli un’inattesa vena di malinconia: Jerry Langford è un personaggio quasi vuoto, che ha realizzato tutto quello che doveva realizzare e che ora vive solo, isolato da un mondo che sembra volerlo divorare e scambiato spesso per un mitomane quando telefona, persino dalla segretaria del suo produttore. Ricco di scene indimenticabili, il film colpisce per un aspetto in particolare, ossia il costante equilibrio tra la voglia di far ridere e quella di scombussolare la mente dello spettatore e disorientarlo: una sensazione contrastante che si prova spesso durante la visione del film e che ha il suo apice nel momento in cui Rupert e Rita si presentano non invitati a casa di Jerry, quando l’aspetto comico si fonde con una tensione sempre più concreta e palpabile.
Non mancano scene dall’alto impatto visivo, come quelle dei sogni ad occhi aperti di Rupert (realizzate benissimo, soprattutto quella in cui l’aspirante comico prova il suo numero di fronte alla gigantesca fotografia in bianco e nero di un pubblico in delirio) o quella in cui Jerry, rassegnato, è costretto ad assistere ai deliri erotici di Masha. L’ossessione di Rupert per lo show business non è troppo distante da quella dei comici descritti dai coniugi Palladino ne La Signora Maisel. Quando Rupert mostra a Rita la sua collezione di autografi e commenta le carriere dei comici, che dice di aver conosciuto, sembra di rivedere l’enorme ego dei comici che si esibivano prima di Midge, talmente pieni di sé da sminuirla sarcasticamente davanti al pubblico poco prima del suo show. La figura di Jerry, invece, attanagliata da questa malinconia e solitudine interiore, rappresenta proprio le paure che Midge comincia ad avere mano a mano che si addentra nel business/passione della comicità. “Io non voglio restare sola”, dice al suo ex marito Joel, in preda al timore di un possibile futuro lontana da chi, fino a pochi mesi prima, era tutta la sua vita.
Concludiamo dicendo che con “Re per una notte” Scorsese regala uno dei suoi film più personali. Un grande classico che col tempo rivela la sua grande forza.