di Andrea Carotti - E’ stato un anno, il 2020, che ha legittimato e trasformato i buoni propositi della piattaforma Netflix. La volontà di investire sulla produzione e distribuzione nel proprio catalogo di opere autoriali e, sicuramente, non prettamente commerciali si è rivelata una mossa vincente. Molti film distribuiti dal colosso statunitense hanno ottenuto, inoltre, un grande favore da parte della critica, ricevendo numerose nomination ai Golden Globe e ad altre celebri manifestazioni. Anche il 2021 promette prodotti interessanti ed uno di questi è disponibile nel catalogo a partire dal 5 febbraio. Parliamo del terzo lungometraggio di Sam Levinson, “Malcolm e Marie”. L’autore della molto apprezzata Euphoria, (disponibile su Sky e Now TV) la serie TV con protagonista Zendaya che interpreta un’adolescente tossica e autolesionista, ha dovuto interrompere le riprese della seconda stagione per motivi ormai noti e, nel frattempo, ha deciso di scrivere la sceneggiatura di questo film richiamando a sé la sua attrice-feticcio in compagnia di John David Washington (Tenet).
“La vita sarà più facile per te, ma anche più difficile. Non cedere al clamore del pubblico e non allontanare chi ti tiene con i piedi per terra.” Marie
Malcolm (Washington) è un giovane regista e Marie (Zendaya) è un ex attrice. I due rientrano a casa dopo il debutto del primo film di lui, che ha riscosso un grande successo di pubblico e, apparentemente, anche di critica. Lui è al settimo cielo e festeggia nel salotto di casa mettendo su un po’ di musica, mentre lei si precipita in bagno con un’espressione addosso non proprio entusiasta. Sarà inevitabile un confronto di coppia che nasce dal fatto che lui si è dimenticato di ringraziare Marie durante il suo discorso, non solo in quanto compagna, ma anche come fonte di ispirazione del film che tratta della riabilitazione di una ragazza tossicodipendente. Sarà un litigio che andrà avanti tutta la notte, alternato da momenti di riappacificazione ad altri di crudeltà verbale, momenti di dolcezza e di rabbia, gioco e tenerezza. Una notte in cui i dialoghi provocatori, taglienti, spontanei dei personaggi non lasceranno quasi tempo di rifiatare, come immersi in un loop continuo.
La sensazione di urgenza che la pellicola lascia è forse uno degli aspetti più interessanti da sviscerare. Come dice Malcolm, non è tanto importante il messaggio finale ma è l’energia e il cuore che c’è in un film. A Levinson serviva sfogarsi della frustrazione di non poter girare quello che voleva; la pandemia ha rimandato o cancellato molte produzioni e non è un caso che “Malcolm e Marie” sia il primo prodotto ad essere stato completato dopo lo scoppio di quest’ultima. Non è un caso che sia un racconto incentrato sullo sfogo, sul bisogno di attenzioni, sulle camminate frenetiche e nervose che vediamo fare lungo i corridoi ai personaggi. E’ una storia tesa come è teso il periodo storico che stiamo vivendo e la scelta di ambientare il tutto in una grande villa isolata da tutto e tutti, oltre a rendere la pellicola una metafora della pandemia stessa, amplifica inevitabilmente ogni cosa. Seppure i due amanti non fanno altro che dialogare si percepisce un’atmosfera claustrofobica che spinge i due talvolta ad isolarsi, come a voler riprendere fiato da una convivenza forzata.
E’ una pellicola piena di citazioni che farebbero impazzire ogni cinefilo ma allo stesso tempo critica la cinefilia spicciola, incompetente ma anche quella più colta. Malcolm è ossessionato dalle recensioni negative. Teme di essere frainteso in quanto regista di colore. Il suo lavoro parla dell’inevitabilità del senso di colpa e vergogna, un film commerciale su una tossica che vuole stare meglio e non uno politicamente incentrato sulla razza come banalmente penserebbero i critici bianchi. Levinson gioca molto con la critica e la scelta di usare il bianco e nero come soluzione visiva non è solamente dovuta al contrasto tra amore e odio dei personaggi ma anche come “presa in giro” nei confronti di sedicenti cinefili snob troppo attenti alla forma e meno al contenuto.
Arriviamo al tema centrale dell’opera, la relazione/crisi di coppia tra Malcolm e Marie. Lui dimentica di ringraziarla nel discorso di fine proiezione, nonostante la storia parli di lei, la musa e consigliera senza la quale il film non si sarebbe mai realizzato. Malcolm non è d’accordo e ridimensiona Marie in un ruolo meno indispensabile confidandole che, in realtà, la sua ispirazione è contaminata da numerosi episodi legati alla sua vita. Le dirà in seguito che la parte del film ispirata a lei è il finale, quello che rende tragica la sua storia, quando lei odia così tanto sé stessa per via del senso di colpa e vergogna da respingere le cose belle. La sua incapacità di immaginare che ci sia qualcuno al mondo che la ami e basta. Si percepisce che l’amore è forte e vibrante fra i due giovani, nonostante alla minima occasione non esitino a “vomitare” sentenze senza scrupoli. Si discute di autenticità, di inganni, di un passato difficile, della superficialità dell’uomo e del risentimento della donna. Tutto ciò è accompagnato da una regia che ritrae alla perfezione ogni stato d’animo dei personaggi, con dei primi piani e delle sequenze di tensione perfetti. Il campo lungo iniziale che inquadra un lato della casa e in lontananza l’auto dei protagonisti che si avvicina è statica ma incisiva e l’assenza di musica fa pensare alla quiete prima della tempesta. Quando Malcolm e Marie sono in due luoghi diversi della casa e la macchina da presa, posizionata fuori dalle mura, si sposta con il carrello da destra a sinistra e viceversa per spiare furtivamente le differenze di comportamento, è assolutamente meraviglioso.
Ci troviamo di fronte a un film teatrale, con due personaggi e una sola ambientazione; del resto come dice qualcuno il cinema è anche l’arte di adattarsi. Le interpretazioni sono il fulcro dell’opera, la scrittura dei dialoghi è decisamente ispirata come lo è altrettanto la messa in scena. Zendaya è magnetica e sensuale e seppure meno esperta del suo collega regala un’interpretazione convincente. La scena in cui si trova nella vasca da bagno mentre, in silenzio, ascolta il monologo del compagno è indimenticabile. Levinson sta quasi sempre su di lei con la camera, sul suo viso impietrito che cerca di non far fuoriuscire emozioni mentre Malcolm continua a ferirla parola dopo parola. Una rivelazione, Zendaya, che non finisce di stupire. John David Washington, dopo la buona, ma dimenticabile, performance in Tenet qui dà il meglio di sé. Le variazioni di tono che riesce a dare alla sua voce è impressionante, come lo è la disinvoltura del corpo. Probabilmente ha il monologo più bello del film, ossia quando spara a zero per due o tre minuti buoni sulla prima critica scritta ricevuta per il suo film. La perfetta alchimia tra i due protagonisti è la vera forza della storia, in cui la musica di Labirinth descrive brillantemente gli stati emotivi della coppia e il tempo della narrazione corrisponde a quello reale, catapultando lo spettatore in un loop continuo di sbalzi d’umore e di tensione sperando che in qualche modo Malcolm e Marie ne riescano ad uscire. Magari al sorgere di un nuovo giorno. Magari insieme.