Sapevate che a Rieti è seppellito un elefante? A molti sembrerà una favola, ma favola non è. Anzi il rischio è che magari, tra qualche anno, scavando, qualcuno scambi quei resti come appartenenti ad un'epoca preistorica e gridi al “mammut!".
La vicenda è storicamente documentata da Aldo Lafiandra nell’interessante volume “Il Palazzone... una vita, una storia, un ricordo... e la Madonna del Cuore”.
Era il 1957 e le tende del Circo di passaggio venivano allora piantate nell'attuale rotonda di Madonna del Cuore, al termine del Viale Maraini, al posto del Monumento ai marinai. Il Circo in questione era di Darix Togni. Tra i tanti animali presenti all'interno dei loro recinti c'era anche un piccolo elefante che, incautamente, cibandosi, ingerì del fil di ferro nascosto nella paglia. Nonostante le cure prestate il Circo dovette registrare la grave perdita in termini economici e di spettacolo, ma in molti piansero Pepè. Ed allora dove seppellirlo? Con un grosso rimorchio venne trasportato in quella che allora era una zona periferica della città (oggi densamente abitata!) via Canniccia. Tra la curiosità dei presenti fu deposto in una grande buca. A che altezza? A distanza di anni difficile da dire ma proprio questo accresce il... Mistero, rendendo ognuno della zona ‘custode’ dello Spirito del Piccolo Elefante che forse meriterebbe un piccolo totem celebrativo in ricordo di tutti gli animali morti sul luogo di ...lavoro.
Nel contattare Aldo però siamo colpiti dalle ultime notizie sull’argomento “Volevamo ricercare i resti dell’elefantino al Burrone (così veniva identificata la zona) ma qualcuno ci disse che nel fare i lavori ne erano stati dispersi i resti (lo avevano veramente scambiato per un ritrovamento capace di bloccare il cantiere?!!! N.d.r.). Avevo un progetto per un accordo con l’Istituto Zooprofilattico che avrebbe permesso la ricomposizione dello scheletro e magari l’esposizione proprio nella zona in cui era morto.”
Addio Pepè, non possiamo far altro che ringraziare con riconoscenza il fotografo Toni Giordani, i cui negativi recuperati, hanno permesso la pubblicazione ad Aldo Lafiandra e a noi di queste immagini.