di Andrea Carotti - Una virtù eminentemente sociale che consiste nella volontà di riconoscere e rispettare i diritti altrui attribuendo a ciascuno ciò che gli è dovuto secondo la ragione e la legge. Parliamo di giustizia sociale, uno dei temi più ricorrenti, accesi e spesso travisati nel significato. Oltre a intendere qualità, pregio o dote, la virtù è la disposizione naturale a fuggire il male e fare il bene, fuori da ogni considerazione di premio o castigo. Nella nostra epoca concetti importanti come questi dovrebbero essere il pane quotidiano ma se fosse così vivremmo probabilmente in un mondo dove discriminazione, razzismo, omofobia sarebbero termini considerati desueti, anzi meglio ancora sconfitti. Un’utopia, purtroppo ogni giorno ci si trova di fronte ad atti discriminatori di ogni tipologia e non c’è certamente bisogno dei mezzi di informazione per rendersene conto, è sotto gli occhi di tutti. Per fare sì che tali atti cessino di verificarsi bisogna continuare a combattere uniti in prima linea e protestare se c’è bisogno, manifestare perché è un diritto ed esporsi sempre davanti alle ingiustizie. No all’indifferenza. L’attivismo di movimenti come il Black Lives Matter è diventato un grido di battaglia per migliaia di persone in tutto il mondo protestando contro la violenza e il razzismo contro i neri. “E’ il fatto di vivere in una società in cui i nostri cari possono essere sistematicamente portati via da noi” – ha dichiarato una delle fondatrici del movimento. Durante una manifestazione del BLM avvenuta poco dopo i fatti di George Floyd l’attivista afroamericana Mallory Tamika si espone: “La ragione per cui gli edifici bruciano è perché questa città e questo stato preferiscono preservare quel nazionalismo bianco e quella mentalità suprematista piuttosto che arrestare, incolpare e aiutare a condannare i quattro agenti che hanno ucciso una persona nera. Qui si tratta di Ahmaud Arbery colpito e ucciso da due uomini bianchi per strada in Georgia, Breonna Taylor, uccisa in casa sua. Si tratta di un’attività coordinata che accade in tutta la nazione e per questo noi siamo in uno stato di emergenza, le persone continuano a morire in uno stato di emergenza. La ragione per cui gli edifici bruciano non è solo per il nostro fratello G.Floyd, bruciano perché le persone qui in Minnesota stanno dicendo alle persone di New York, alle persone di tutta la nazione “quando è troppo, è troppo!”. Noi non siamo responsabili delle follie inflitte sulla pelle della nostra gente perpetrate dal governo, dalle istituzioni americane e dalle persone che ricoprono ruoli di potere. I giovani rispondono! Sono arrabbiati e c’è un modo facile per fermare tutto: arrestare e accusare i poliziotti, tutti, non solo alcuni, accusarli in tutte le città d’America dove la nostra gente viene ammazzata. Siate coerenti quando dite che l’America è una terra libera per tutti, non è stata libera per la gente nera e siamo stanchi, non parlateci di saccheggio, siete voi gli sciacalli! L’America ha saccheggiato la gente nera, le terre dei nativi americani. Saccheggiare è quello che avete sempre fatto, è da voi che abbiamo imparato la violenza.”
Eccoci arrivati ad un altro appuntamento de “Le pagine degli orrori”. Ci stiamo occupando del trittico di registi, Aster, Peele e Eggers i quali nel loro genere di riferimento, l’horror, regalano da qualche anno a questa parte grande cinema d’autore impegnato socialmente e politicamente senza dimenticarsi il puro intrattenimento che offrono le loro trame assurde, ispirate e originali. Nella scorsa puntata abbiamo affrontato l’operato di Ari Aster, ora è il turno di Jordan Peele. La carriera del regista classe 1979 inizia con la comicità (stand-up comedy) che lo porterà grazie al suo talento a partecipre a programmi televisivi come MadTV e MTV. Debutta come attore al cinema nel 2007 nel film “Twisted Fortune” per poi comparire nel 2010 nella commedia “Vi presento i nostri”. E’ protagonista di show televisivi comici come “Key e Peele” e compare anche nella celebre serie TV antologica “Fargo”. E’ solo nel 2017 che decide di cimentarsi con la regia senza immaginare che dà lì a breve diventerà un vero simbolo del cinema black e horror. Lo stile classico e l’impegno sociale e politico incorniciano, insieme alla critica e lotta contro il sistema, il pensiero che, artisti come Romero, Carpenter, Yuzna, Spike Lee, Craven, a cui Peele si ispira, ha rivoluzionato e influenzato il cinema di genere. Parliamo in questo caso di cinema indie-horror, post-horror pieno di idee da raccontare che annovera il regista afroamericano tra i capostipiti post-moderni della meravigliosa scena new wave che ricorderebbe, agli appassionati di musica, la scena post-punk e hardcore degli anni’80, di gruppi come i Bad Brains, Bauhaus, Pere Ubu e The Cure. Un movimento cinematografico che coniuga la forte indipendenza autoriale di forma e contenuto con il grande messaggio pop. Andiamo ora a sviscerare nel dettaglio le due opere che Jordan Peele ha fino ad adesso diretto.
SCAPPA – GET OUT (2017)
Chris (Daniel Kaluuya) è un giovane afroamericano che decide di fare visita, insieme alla sua ragazza bianca Rose (Allison Williams) nella tenuta di famiglia dei genitori di lei. Durante il soggiorno Chris verrà a scoprire cose e comportamenti sempre più bizzarri e inspiegabili e comincerà a farsi un’idea dell’inquietante motivo che si cela dietro l’invito.
All’esordio Peele dirige un thriller dalle tinte horror che inchioda lo spettatore sulla poltrona dall’inizio alla fine, è incredibile come nonostante la poca esperienza dimostri una maturità nella messa in scena e nella direzione degli attori mostruosa. Un thriller/horror classico nel pieno stile Polanskiano e di Frank Oz (non a caso si rifà molto al loro cinema), ricorda le atmosfere di “Rosemary’s Baby”e“La donna perfetta” riuscendo a donare tutte le emozioni e i brividi di un film di paura, ma anche la tensione giusta di un action adrenalinico o la suspence di un thriller psicologico. Scappa nasce dalla profonda riflessione delle paure reali del suo creatore e il desiderio di lasciare un’impronta nel genere che fosse unica e personale. Uno dei punti più alti riguarda il ritmo, l’idea di assicurarsi che durante lo svolgimento dei fatti non accadesse nulla di assurdo troppo in fretta, rendendo poco credibile le situazioni in cui si ritrovano i personaggi. L’eroe di questo horror doveva rispecchiare lo spettatore, le sue scelte dovevano avvicinarsi alle scelte che tutti noi avremmo fatto in una situazione del genere e tenendo conto che uno dei problemi maggiori degli horror moderni (soprattutto quelli con alto budget) è proprio quello di mostrare eventi surreali, non può che essere un altro punto a suo favore. Una delle scene fulcro è la festa in giardino in cui vediamo che gli invitati che si rivolgono a Rose e Chris accennano al loro legame con la cultura afroamericana esordendo con frasi però assurde del tipo: “Dopo decenni di supremazia bianca ora il nero va di moda, che ne pensi?” o ”Sei bravo a giocare a golf? Tiger è un mito” o “Pensi che nel mondo moderno sia un vantaggio o uno svantaggio essere neri?”. Chris naturalmente non riesce a godersi la festa perché viene visto solamente come il nero in mezzo a una festa solo di bianchi, volendo rappresentare l’insicurezza che tutti proverebbero riguardo alla propria razza e ai pregiudizi che le persone possono avere. L’atmosfera del film si fa decisamente più sinistra e cupa durante la scena dell’asta, indimenticabile sequenza che inizia con il primo piano del banditore e che poi, si allontana piano piano inquadrando gli ospiti seduti che fanno la loro offerta per aggiudicarsi qualcosa di assurdo. Ecco un punto focale dello stile di Peele ossia di utilizzare la ripresa con il carrello e immortalare i momenti più psicologicamente terrificanti allontanando la m.d.p. volendo esprimere il proprio disappunto e distacco da quello che accade in scena. Il tema del razzismo domina il sottotesto della trama facendo leva sul fatto che il mostro, il demone in questo horror è la discriminazione stessa ed è sempre in agguato. La sceneggiatura è stata scritta al tempo dell’elezione di Obama (citato spesso durante il film) e risulta oggi più attuale che mai in questa era di “menzogna post-razziale”.
La fotografia di Scappa è magnifica, cresce di cupezza parallelamente alla tensione. Il verde e i colori rassicuranti della prima metà dell’opera assumono tonalità dark e intimidatorie nella seconda parte. Diventa quasi un film da interni, alla “Suspiria” di Guadagnino, Romeriano nella rappresentazione claustrofobica della casa dove si trovano i personaggi durante la maggior parte delle scene. Una menzione speciale va alla colonna sonora, perfetta e dosata benissimo con la caratteristica tipica del rumore molesto e inquietante che rimanda a quelle atmosfere slasher di una volta ascoltate in film del calibro di “Venerdi 13”. Grande esordio con vittoria dell’Oscar per la migliore sceneggiatura originale del Nostro, che utilizza l’arte e la comunicazione come strumenti contro il vero orrore del mondo, la violenza.
NOI – US (2019)
America 1986, la nazione intera è impegnata a preparare “Hands Across America”, una gigantesca catena umana di beneficenza che attraversa tutto il Paese e che è destinata a diventare un flop economico e organizzativo. Una bambina, Adelaide, si perde in un labirinto degli specchi e lì si imbatte nel proprio doppio. Diversi anni dopo Adelaide (Lupita Nyong’o), con la sua famiglia torna a Santa Cruz, il luogo della sua infanzia, e da lì a poco cominceranno ad accadere eventi inquietanti e inaspettati che faranno riemergere in Adelaide gli incubi del passato. Sarà in grado di affrontarli?
La seconda opera del regista newyorkese dimostra un ulteriore salto di maturità perché con Noi ci troviamo di fronte probabilmente a un capolavoro ma questo sarà il tempo a dimostrarlo. La dualità, il doppio, il doppelganger. Bisogna risalire al periodo espressionista tedesco per individuare il pioniere di questa tematica e stiamo parlando del grande Robert Wiene e del suo “IL gabinetto del dottor Caligari”, opera monumentale che non solo è massima espressione del movimento, non solo mette in scena il doppelganger ma getta le basi di quello che più avanti diventerà il monster-movie e lo zombie-movie. Uno dei temi centrali in Noi è l’idea che collettivamente possiamo riuscire a ignorare le ramificazioni del privilegio. L’idea di ciò che pensiamo di meritare va a discapito della libertà o della felicità di qualcun altro. Il più grande danno che si possa creare, in quanto comunità collettiva è dare per scontato di meritarla e che il fatto di essere nati dove siamo nati non sia una questione di fortuna. Affinché abbiamo i nostri privilegi, qualcun altro soffre. Su questo punto appare più evidente la connessione con il doppio, perché chi soffre e chi prospera sono due facce della stessa medaglia ed Hands Across America è l’esempio di questa dualità americana: un evento che ci riunisce tutti, che tiene tutti per mano e in qualche modo risolverà il problema della fame. C’è l’illusione di contribuire a qualcosa che porterà a un cambiamento. In questo film il mostro siamo noi stessi, ha la nostra faccia e per Peele era importante che il pubblico si identificasse con la protagonista ma anche con il suo doppio, così che alla fine provasse una sorta di disagio per aver fatto il tifo per una delle parti che si scopre essere il criminale. Il modo di raccontare dell’autore riesce a sollecitare delle reazioni viscerali, reazioni involontarie che insegnano qualcosa su sé stessi; una potenza comunicativa incredibile. I doppelganger nel film vivono nel sottosuolo, in un ambiente metropolitano (simbolo di degrado sociale perché è uno dei luoghi dove quest’ultimo è palpabile) conducendo una vita folle in cui non hanno il controllo delle proprie azioni, privati persino della luce del sole dandogli un’aria quasi vampiresca. Afferma Peele che in questo film si è ispirato alla sua paura interiore di potersi trovare di fronte sé stesso, per lui in questa storia il mostro è dentro di noi e anche la scelta di sovvertire delle ambientazioni idilliache come Santa Cruz è uno scelta azzeccata. Essendo un amante della commedia gioca con lo spettatore ambientando la scena in luoghi di divertimento o di relax dando al pubblico la sensazione di essere in vacanza nel bel mezzo però di quello che inevitabilmente diventerà un horror. Orrore e commedia sono entrambi grandi modi di esporre ciò che si prova e in questo caso la comicità che emerge dalle sequenze è un elemento necessario per allentare la tensione e dare la possibilità al pubblico di riprendersi emotivamente per poi “riprenderlo per la gola” nella scene successive. I grandi maestri dell’horror riuscivano a fare grandi opere perché riuscivano a tirare fuori dallo spettatore le paure più profonde e represse e questo vale anche per Noi che si concentra, inoltre, sul senso di colpa e sui peccati che seppelliamo dentro di noi.
In tutta la mitologia i doppelganger spesso rappresentano cattivi presagi o presagi di morte, e proprio qui si fonda la trama, ossia mettere in evidenza e lavorare su questa paura primitiva. Il simbolismo animale è sempre presente nel cinema di Peele e in questo caso abbiamo il coniglio, simbolo della Pasqua. In realtà la storia narrata è una sorta di Pasqua macabra in cui Red (il doppio della protagonista) è il messia che risorge dalla tomba in cui è stata data per morta. Il cervo in “Scappa” e il coniglio in “Noi” sono animali della foresta con qualcosa di selvaggio e incontrollato negli occhi e nel primo caso rappresentano, la minoranza odiata, cacciata e fastidiosa che vorrebbe essere, invece, libera di vivere nel proprio paese senza restrizioni mentre nel secondo caso la classe sociale considerata inutile e superflua che il capitalismo può sfruttare per ogni tipo di pratica e nel caso specifico come esperimento sociale (coniglio e clonazione, uomo e doppio). L’idea di coincidenza in questa pellicola è legata all’evento della creazione delle copie che causa una sorta di spaccatura nella tela dell’universo. La religione è un tema ricorrente nelle opere del Nostro, secondo lui c’è un “noi” intessuto nella stoffa di molte religioni. La citazione ricorrente nel film a Geremia 11:11 “Perciò dice il Signore: Ecco manderò su di loro una sventura alla quale non potranno sfuggire. Allora leveranno grida di aiuto verso di me, ma io non li ascolterò” rappresenta la voce di Red (il doppio), una specie di grido di guerra. Il personaggio di Pluto (il doppio di uno dei figli della protagonista), si conclude con lui che indietreggia verso il fuoco con le braccia allargate, come in una sorta di crocifissione. Red dà il nome agli altri membri della sua famiglia. Abraham è un nome che sceglie poiché quando lei aveva sette anni ha imparato che questo personaggio era stato un grande emancipatore ed è appunto questo il ruolo della sua famiglia, una famiglia reale, simbolo di libertà ed emancipazione. Cosa significa il titolo Noi? L’unico elemento costante dell’idea di un “noi” è che quando c’è un “noi”, c’è sempre un “loro”. Ognuno di noi condivide l’anima con il suo doppio, abbiamo un legame predestinato che non è sempre di natura esatta, è una sorta di connessione poetica. Il fato e la magia dell’anima non funzionano in maniera scientificamente attendibile, per questo il sottopassaggio (dove vivono i doppi e creato per loro dall’uomo) come concetto non ha funzionato per i creatori.
Concludiamo dicendo che ancora una volta la regia di Peele si dimostra davvero talentuosa, i primi piani sono fantastici quanto terrificanti e il lavoro di realizzazione delle scene con gli attori protagonisti e sempre questi ultimi nei panni dei rispettivi doppi è stato maniacale; il montaggio in questo film è eccezionale, scandisce il ritmo di scena in scena aumentando la tensione fino ad arrivare al suo culmine per poi scivolare su un finale con un bellissimo colpo di scena. Lupita Nyong’o si dimostra di essere una delle attrici più talentuose della sua generazione e se già aveva dato prova delle sue doti nel film premio Oscar “12 anni schiavo” e in “Little monsters”, in questa prova attoriale molto impegnativa dimostra una capacità di calarsi nella doppia parte eccezionale oltre ad avere un’espressività che si presta moltissimo al cinema horror. La scena del confronto tra le due famiglie è indimenticabile. Seppure alla seconda regia è riuscito ad ispirare altri registi nel portare avanti cinema di genere e di denuncia, basti pensare al bellissimo “Antebellum” diretto e sceneggiato da Gerard Bush e Christopher Renz i quali ci hanno deliziato con un’opera potente sin dal primo piano sequenza magnifico che riprende per qualche minuto tutta la piantagione di cotone, la routine della schiavitù per poi concludersi con lo struggente assassinio di una donna che tenta di fuggire da parte di un patriota della guerra civile. L’influenza comedy è più marcata in Noi, che ancora una volta omaggia tanto cinema, tra cui lo slasher e le sue atmosfere tipiche come l’uso di strumenti da taglio per uccidere, e lo splatter; c’è Sam Raimi mescolato con un po’ di Nightmare di Wes Craven e una spolverata di Hitchcock (che non guasta mai) per costruzione della suspence e del terrore. Un cinema post-moderno quello di Jordan Peele ma con un saggio occhio di riguardo ai maestri del passato, una forte denuncia sociale e politica e la grande responsabilità di essere baluardo della lotta al razzismo e alla violenza.
17-04-21