Se fossimo proiettati indietro nei secoli, qualcuno riterrebbe responsabile di tutti i mali di questo tempo sicuramente una donna, magari una strega.
In tempi di carestia, disastri naturali, epidemie, in tutta Europa c’era sempre qualcuno pronto a testimoniare che, prima di una sciagura, una o più donne erano state nei pressi dei campi mentre volavano o festeggiavano con strane danze, magari nude e in compagnia di qualche demone. Spiegazioni razionali per disgrazie incomprensibili, d’altra parte, scarseggiavano. Era ben più facile individuare capri espiatori, per lo più donne del popolo, da accusare di stregoneria. Chi erano davvero le streghe? Di quali delitti si macchiavano per essere perseguitate e uccise, addirittura col fuoco, a centinaia di migliaia? Sicuramente si occupavano di pratiche definite ‘magiche’ ma che in realtà avevano a che fare con la botanica e l’erboristeria. Le donne dell’antichità furono soprattutto guaritrici, conoscevano le applicazioni medicinali di molte erbe e piante e tali conoscenze si imparavano di generazione in generazione. Allo stesso tempo scoprirono nuove formule e applicazioni attraverso la sperimentazione. La gente considerava questa conoscenza come un certo tipo di magia.
Lo studio per un patrimonio di conoscenze
Per quanto riguarda il nostro territorio e l’uso delle erbe conosciute con nomi diversi a seconda delle zone della nostra provincia, abbiamo scoperto un interessante studio di Silvia MORONTI, Assistente del Corpo forestale dello Stato, pubblicato nel 2013 in cui si elencano le piante nelle tradizioni popolari del reatino. Si scopre così a Poggio Fidoni, Rieti, Sant’Elia l’uso della stoppa, ovvero il cascame di fibre ricavate dalla canapa durante le operazioni di pettinatura, per le ‘chiarate’: una sorta di ingessatura realizzata con chiare d'uovo e tali fibre. “Dai racconti di un'anziana della zona di Leonessa apprendiamo che durante la lavorazione della canapa, per ingannare il tempo era uso masticare di tanto in tanto qualche semino che provocava però “inspiegabili” sonnolenze”. Sempre a Leonessa, il mercoledì, giovedì e venerdì Santo, i giovani preventivamente muniti di bastoni di nocciolo, si inginocchiavano ed in ricordo delle battiture inflitte a Gesù battevano furiosamente il pavimento fino a rompere i bastoni i cui pezzi erano consegnati al sacerdote. Questi, in parte venivano bruciati per ricavarne le ceneri da usare il mercoledì delle ceneri dell'anno successivo, in parte venivano usati per fare delle croci da mettere nei campi.
Mentre le ‘nocchie’ sono l’ingrediente principale dei ‘terzetti’ dolci tipici natalizi, i rami venivano utilizzati per realizzare dei cesti (Borgo Velino). A Collerinaldo erano materiale per costruire un cesto lungo ed ovale detto “scerpa” utilizzato per la raccolta delle castagne.
Infusi di foglie di menta piperita, timo e salvia erano bevuti per calmare tossi persistenti (Magliano Sabina). Per la festa dell'Ascensione si preparava “l’acqua odorosa” con petali di fiori vari, rose e menta piperita lasciandola sul davanzale durante la notte per la benedizione della Madonna. Il giorno successivo veniva usata dalle donne per lavarsi (Rieti) A Poggio Fidoni c'era la stessa usanza.
La fave, dette scafette o scafi, in tutta la zona di Rieti vengono consumate fresche con pecorino oppure in pinzimonio. Cotte, con olio, sale, pepe e cipolla, costituiscono un piatto caratteristico detto “scafata” (Greccio, Rieti). le punte (cimetenere) si mangiavano in insalata (Capradosso, Poggio Fidoni). A S. Elia, ma non solo, la pianta verde è usata come foraggio per i bovini.
Con l’ajo (Greccio), agliu (S.Elia, Rieti), o la fietta ovvero treccia d'aglio, si combattevano le punture d’insetti o veniva usato come callifugo applicando sui calli una sottile parte di spicchio da rinnovare frequentemente (S.Elia). A volte si schiacciava qualche spicchio ed impastato con grasso di maiale, si applicava sui calli che venivano tenuti fasciati per una intera notte. L'aglio mangiato crudo, preso a spicchi per molte mattine consecutive era considerato “rinfrescante” (Rieti).
Per regolare la circolazione sanguigna ed abbassare il tasso di colesterolo nel sangue si faceva un macerato di spicchi d'aglio e alcool puro in uguali quantità e si prendevano per 20 giorni alcune gocce del filtrato (Contigliano). Anche l'uso vermifugo era assai noto.A Petrella Salto si ricorda il detto: “la serpe partorisce sopra lu spinu”. I fiori essiccati delle cacchelle (ovvero il biancospino per Leonessa, S. Elia) venivano già nell’antichità utilizzati per fare delle tisane calmanti che favorivano il sonno.
Contro l'acne venivano usati impiastri di foglie di rovo (Concerviano, Capradosso, Contigliano, Poggio Bustone, Petrella Salto). A scopo cicatrizzante si applicavano le foglie sulle ferite mentre quelle pestate venivano applicate su ascessi (Poggio Bustone, Contigliano, Petrella Salto). Le marmellate di more erano e sono usate per il mal di gola.
Ma è la Belladonna, una delle piante per eccellenza utilizzata dalle ‘streghe’. Il suo nome deriva dalla parca Atropa, colei che, nella mitologia greca aveva il compito di porre fine alla vita delle persone tagliando il loro filo della vita. Anticamente era utilizzata dalle streghe per realizzare talismani, per gli incontri con il diavolo e per ottenere un particolare olio, il sussurro delle streghe, che era indispensabile durante il Sabba, dalle bacche si estraeva l’inchiostro mentre le foglie secche venivano usate per la veggenza. Sempre anticamente la Belladonna veniva anche usata per realizzare filtri d’amore per gli amanti e per tenere lontano il malocchio.
Nelle montagne del reatino era raccolta un tempo per venderla nelle farmacie. Nella zona di Leonessa bacche di belladonna erano utilizzate, mescolate in un impasto di grasso pane e carne, per uccidere addirittura volpi e lupi.
(da Format mar-apr 2022)