di Riccardo Di Genova - In una società, frenetica e distratta, che cerca con ogni mezzo di affermare “l’elogio della compagnia”, siamo soliti guardare alla solitudine con inquietudine e paura, e quasi mai in maniera serena, tanto da considerare una donna sola come irrealizzata, fallita o in pericolo, mentre un uomo solo, agli occhi di molti, risulta sfortunato o semplicemente egoista. Viviamo nell’epoca della compagnia, un’epoca in cui, pur di non restare con noi stessi, cerchiamo contatti anche virtuali persino con persone dall’altro capo della Terra, senza sapere che, in fondo, la solitudine ha un fascino particolare e può esserci amica. Certo, non tutti si possono permettere di essere soli (basta pensare agli anziani, ai disabili e a i malati) ma sostanzialmente, quando si può rimanere soli con sé stessi, è poi più semplice (e più gratificante) avere un contatto più profondo e intenso con il mondo circostante che, si badi bene, non è fatto soltanto dei nostri simili ma, piuttosto, di tutto l’universo. E tanto più si riesce ad entrare in armonia con questo “circostante”, tanto più si riesce a pensare meglio ai propri problemi e persino a trovare le soluzioni migliori. Fatte queste premesse, possiamo ben dire che la solitudine, intesa come riappropriazione del “sé”, rappresenti, in fondo, una sorta di privilegio. Nella lingua italiana, il termine “solitudine” indica un individuo solo, privo di compagnia; che ciò abbia una connotazione negativa o meno, lo stabiliamo noi, ma è curioso notare che in inglese esistono due termini distinti per indicare la solitudine: “loneliness” e “solitude“. Il primo, descrive la sensazione di tristezza e disagio causata dal sentirsi soli nell’affrontare la vita. “Solitude“, invece, si potrebbe definire come una “solitudine per scelta“. Ed è proprio di questa tipologia di solitudine che trattiamo. Scegliere d’isolarsi non significa, quindi, annullarsi, voler evitare di guardare il mondo e di riflettersi su di esso, ma piuttosto cercare (o riscoprire) il mezzo che ci permette di conoscere il “circostante” e ritrovarsi “sanamente” soli e capaci di guardare il mondo con occhi nuovi. Staccandoci dalla frenetica ed alienante vita sociale, potremo allenarci a osservare i dettagli e dare importanza a ogni singola cosa... a ricercarne il significato. Il risultato di questa nuova dimensione ci darà la consapevolezza di non essere, a nostra volta, nient’altro che un dettaglio della Natura, e in quanto tale, di possedere il senso dell’esistenza che ognuno può trovare in tanti altri particolari “nuovamente” visibili all’anima, ritrovando anche un senso della vita perduto. La “solitude” ci porta quindi alla conoscenza di sé stessi, aspetto fondamentale, questo, perché se poniamo costantemente attenzione “al di fuori”, possiamo veramente affermare di conoscere noi stessi? Siamo davvero amici della nostra persona? Domande banali - obietterà qualcuno - perché ognuno è convinto di conoscersi nel profondo, eppure non sempre è così. È qui che ci viene in aiuto la solitudine, attraverso la quale possiamo riuscire a riscoprire la nostra essenza. Nella solitudine, spariscono i condizionamenti esterni, svaniscono i rumori di sottofondo e si attenuano le luci, facendoci restare con il nostro pensiero libero e illuminante, e quindi... “esistere”!
“COGITO ERGO SUM” (PENSO, DUNQUE SONO)
Cartesio

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