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Le tradizioni popolari ed i racconti sui tesori accumulati dall’antichità e messi al sicuro sulle balze dei monti, dentro le grotte, sotto i macigni ed in generale nei passi di difficile accesso, sono assai comuni, specialmente fra gli abitanti delle regioni montuose, i quali credono di rinvenirli rimuovendo le grosse pietre che li richiudono. Sicuramente anche la nostra provincia sarà ricca di tali leggende ma una in particolare sta solleticando l’attenzione della redazione di una nota trasmissione televisiva nazionale.
Partiamo da lontano…
La preistoria dell’Abbazia di Farfa si confonde con la leggenda. Intorno agli anni 430, fu S. Lorenzo che nel corso della persecuzione ariana, ispirato in sogno dalla Madonna, dopo un avventuroso viaggio dalla Siria, giunse in Italia con circa trecento seguaci e si stabilì nell’antica Cures per esercitarvi il ministero episcopale. Da qui salì il monte Acuziano dove uccise un terribile drago che, rintanato nel tempio della dea pagana Vacuna, appestava e terrorizzava le popolazioni della vallata del Farfa. L’uccisione della feroce bestia e l’erezione di un piccolo monastero e di una chiesa, dedicata alla Vergine, al posto dell’edificio pagano, stanno a simboleggiare la lotta vittoriosa del Santo contro l’idolatria… Si dovettero attendere oltre cento anni prima che S. Tommaso di Moriana, ispirato anche lui in sogno dalla Madonna, mentre a Gerusalemme visitava il Santo Sepolcro, si dirigesse verso le falde dell’Acuziano per riedificare il monastero sabino distrutto dalle incursioni dei longobardi… Altro necessario salto nella Storia: Carlo Magno, accompagnato dalla sua corte, visita l’‘Abazia Imperiale’ nel dicembre dell’800, in occasione della sua elevazione, a Roma, ad Imperatore del Sacro Romano Impero. Concede ampi privilegi ed immunità e sottrae ad ogni giurisdizione civile quello che era divenuto uno dei centri europei più importanti per potenza economica, prestigio spirituale e fervore culturale… Con il crollo dell’impero carolingio però sopravvennero le prime incursioni dei Saraceni, ovunque eccidi, razzie, lutti, schiavitù, rapine e chiese date alle fiamme. L’abate farfense Pietro I resistette per ben 7 anni all’assedio dei barbari ma, alla fine, fu costretto a cedere e fuggì attraverso un cunicolo sotterraneo, portando con sé e nascondendo i suoi preziosi codici ed i suoi tesori e dividendo i monaci in tre gruppi: uno diretto a Rieti, l’altro a Roma ed il terzo da lui guidato, a Fermo dove costruì il monastero di S. Vittoria.
Ed arriviamo ai nostri giorni…
La Rieti Sotterranea è stata per lungo tempo oggetto di indagini per svelare un mistero che dagli anni Cinquanta agli anni Settanta coinvolse gli studiosi di storia carolingia. Secondo la leggenda nata intorno all'abbazia di Farfa, l'abate decise di dividere il tesoro che Carlo Magno aveva donato ai monaci benedettini per ringraziali della calda ed affettuosa ospitalità a lui riservata, costituito da croci e cofanetti d'oro tempestati di gemme preziose, affidandolo a due dei tre gruppi di monaci: di uno si persero le tracce in Sabina, l’altro con la parte più consistente del tesoro, è noto, fu trucidato dai Saraceni a Rieti. Le cronache del tempo riferiscono che l'agguato avvenne extra moenia, fuori dalle mura cittadine. I benedettini pagarono con la vita il fatto di non aver voluto svelare dove il tesoro fosse stato occultato.
Lungo la via della Pellicceria, case torre appoggiate alle antiche mura romane, mostrano una serie di sondaggi fatti nei muri in tempi lontani poiché si riteneva che il tesoro fosse lì stato nascosto. Un mastro ferraio che lavorava nella casa torre di via Pellicceria 24 riferisce che anche studiosi stranieri, arrivarono in loco per effettuare degli scavi. Oggi che anche questa parte della Rieti Sotterrane è stata restituita alla pubblica fruizione è tornata alla luce una vecchia sepoltura. Di chi è il corpo ritrovato? Di un monaco benedettino trucidato oppure di un soldato saraceno?. Le indagini e gli studi che si stanno facendo forse arriveranno alla verità. Il mistero continua…
Stefania Santoprete
(Ringraziando Renzo Di Mario e Rita Giovannelli)