(di Stefania Santoprete) "L'immaginazione al potere" è il celebre slogan coniato a Parigi, nel 1968, durante la cosiddetta rivoluzione di maggio.
Quando il dito fa segno alla luna, l’idiota guarda il dito. E’ un proverbio cinese. Era scritto su un muro del Conservatorio Musicale di Parigi, nel maggio ’68. “Nel dolce mese di maggio, i francesi diedero inizio al primo atto della loro seconda grande rivoluzione.
Una rivoluzione che vuole rose, non solo pane, quindi la più grande delle rivoluzioni.
Forse l’ultima. Nei fatti di quel maggio, si è cercata la tanto desiderata luna, con tutta la passione degna dei giovani, che hanno rotto le grigie regole della storia di quei giorni e l’hanno resa visibile a tutti. Non è visibile con gli occhi, quella luna-rivoluzione. Solo con la poesia, con pensieri e concetti astratti. E sono le due sole muse che bisogna invocare per raccontare come è andata e perché è successo, in quel mese, che la preistoria è diventata storia.
Bisogna ricordare per menti e cuori che erano lontani da Parigi, sperando di convincere gli increduli, di incoraggiare quelli che sperano e di scuotere, dal sonno, quelli che ancora dormono nella preistoria.”
È possibile, perciò, pensare all’arte del ’68 come ad una grande conquista.
Per la prima volta anche Rieti guarda all’arte con interesse, tanto da avvertire l’esigenza di far nascere un Istituto d’Arte. Per ripercorrere i primi passi di questa vicenda abbiamo raggiunto uno scultore, il prof. Italo Crisostomi, nell’atelier dove conserva gli originali delle opere che espone in varie parti del mondo.
“Nel ’68 la contestazione arriva attraverso degli artisti che tentano di organizzare qualche manifestazione nelle città medio-piccole. E’ ben accolta e solleva interesse. L’amministrazione provinciale decide di cavalcare questa ‘voglia d’arte’ organizzando un corso di ceramica della durata di pochi mesi per il quale convoca me ed il prof. Angelucci”.
“Eravamo perplessi, - spiega - pensavamo esistessero le premesse per qualcosa di più costruttivo come un istituto di carattere artistico ed iniziammo a raccogliere informazioni ovunque. Presentammo il nostro progetto sollevando i dubbi e le perplessità del presidente Sebastiani che comprendeva quanto sarebbe stato gravoso per la Provincia sostenere un’iniziativa del genere. Fu lui ad avvertire la necessità di affidare la dirigenza ad una personalità, scalzando numerosi pretendenti. La guida fu così assegnata alla persona più adatta, il prof. Angelucci, il più idoneo, colui che godeva di fama meritata.
Iniziammo nella sede di San Donato, in alcune stanzette di proprietà di Fausti, con pochi ragazzi. Si chiude l’anno e la Provincia licenzia tutti per poi riprenderli a settembre: si era resa conto di essersi imbarcata in un’impresa che diventava sempre più seria e che dava comunque prestigio. Secondo trasferimento in Viale Fassini (nella villetta della segreteria dell’odierno Istituto Industriale), terzo al Palazzo Potenziani, in Via S. Francesco, nobile ma fatiscente.
Aumentano le necessità e diventa importante ottenere il riconoscimento dell’Istituto. Si inizia a lavorare in tal senso procedendo tra un mare di burocrazia, amicizie personali e tentativi di boicottaggio. Il prof. Angelucci intanto, sempre più abbattuto e sconsolato, impegnato nella decorazione dell’aula consiliare della Cassa di Risparmio, si rendeva conto di avere delle priorità e di volerle rispettare. Amareggiato da diverse vicissitudini si dimise, indicando me come suo successore. Convocato dall’assessore Manlio Ianni per la nomina, misi in campo il mio caratteraccio e pretesi che i colleghi non fossero più licenziati a giugno ma venissero regolarmente assunti.”
Le energie da spendere sono molte. Un istituto in formazione ha bisogno di essere continuamente sul territorio, va fatto conoscere, occorre girare la provincia per un tipo di propaganda mirata che tenga conto delle perplessità di una famiglia che guarda con diffidenza tale scelta formativa.
Nel ’68 sentire un figlio dire ‘Voglio frequentare l’Istituto d’Arte’ veniva interpretata come scelta trasgressiva.
“Soprattutto al Liceo Artistico - spiega il prof. Crisostomi - c’era ad esempio l’esercitazione con il nudo, quindi con una modella o un modello da ritrarre: questo aspetto diventava per le famiglie preoccupante. Non accadeva nel nostro Istituto dove a turno venivano ritratti, vestiti!, gli alunni stessi.”
Come viveva un professore dell’epoca questa voglia di ribellione: arrivava anche nelle nostre aule il vento nuovo del ’68?
“Rieti era un po’ piatta. Sperimentai nel ’71 a Roma, durante un concorso per un’ulteriore abilitazione, la vera contestazione. Incontrai personalità diverse, più o meno mature, più rissose o pacifiche. Erano i tempi delle bombe molotov al Ministero della Pubblica Istruzione di Trastevere, dei celerini schierati…. con noi che correvamo da una parte all’altra per disorientarli: erano effettivamente ‘momenti caldi’. Anche nel corpo docenti c’era fermento…”
“Tornando a Rieti, inizialmente raccogliemmo ragazzi che non avevano intenzione di continuare gli studi, un po’ particolari, ma non per questo intellettualmente meno preparati per certi discorsi. Iniziano i primi scioperi, le riunioni: Ricordo come fosse ora Danilo Passarani, un giovane in gamba che morì in un incidente, dire “Arriva Crisostomi… non se ne fa niente”.
Io cercavo di arginarli promettendo il mio appoggio per qualsiasi richiesta dinanzi all’amministrazione provinciale (i fondi mancanti per la ceramica, il materiale per il tessile esaurito…). A me interessava che l’istituto non dipendesse dall’amministrazione provinciale, sottoposto a pressioni anche politiche, a cui sono stato sempre allergico.
E’ per questo che, aiutato da uno spirito cooperativistico presente in molti docenti (su tutti ricordo il prof. Principi e le numerose riunioni ‘al volo’ tra un’aula e l’altra) sono riuscito a far giungere finalmente in porto con mille peripezie la nostra richiesta e a vedere riconosciuta anno dopo anno come statale la nostra Scuola, dribblando i bastoni che qualcuno seminava…. Mi accorsi a quel punto che anche per me era arrivato il momento di ridare spazio alla professione artistica e, da allora, non sono più rientrato in quell’Istituto fino ai festeggiamenti di quest’anno: strano, ma è così”.
(da Format Gennaio 2008)
Dida foto:
Gita ai musei Vaticani- Roma 1969:
Prof. Latini, Genoveffa Ciferri, Simonetta Colasanti, prof. Arduino Angelucci, Ciferri, prof. Wilma Cacciamani, prof. Italo Crisostomi, Mario Maggiori, Sergio Brandi