a cura di Rino PANETTI

Agosto 2020

MAGICAMENTE

LA MAGIA DI UNA COMETA, STORIA REATINA DI 18MILA ANNI

magia, storie

(di Rino Panetti) 

Pensate a come sveglia i semi -
e in principio la creta di una fredda stella […]
Che cosa mai ha spinto i fatui raggi del sole
a dannarsi per rompere il silenzio della terra?

 

La raggiunse facilmente, mantenendosi nel quadrato dominato dal rosso Arturo, quarto astro più luminoso del cielo. Come da manuale, disegnò la traiettoria tenendo costantemente sulla destra Alioth, Mizar e Alkaid, le tre stelle della coda del grande carro.

Le manovre di atterraggio seguirono la solita routine. Un sobbalzo percepito solo dai sensori di bordo, si trasformò in impulso verde. “Piacere di incontrarti”, disse scrutando dall’oblò i 5 km di Neowise. L’ultima volta che la cometa era transitata visibilmente nei cieli della Terra fu più di seimila anni prima.

Stette in quel silenzio. Si voltò verso il pianeta blu: il primo a poterlo ammirare da lì. Lo coprì con una carezza dell’indice sull’oblò. Casa.

Voltò anche il pensiero: dall’anno 8786 richiamò gli occhi di quel ragazzino del 2020 e il suo binocolo, tramandatogli dal padre. Venivano dallo stesso luogo, lui e quel ragazzino. Un soffio di 6766 anni a dividerli.

Allora c’era una grande quercia, nel bosco francescano sotto Fonte Colombo, a due passi da quella che a quel tempo si chiamava Rieti. Da quel silenzio e da quel buio pesto, quel ragazzino rovistò con fatica il cielo; con approssimazioni successive seguì con l’indice le tre stelle della coda del carro, verso Arturo. Atterrò infine sulla cometa con quel binocolo.

Un balzo di altri seimila anni indietro. Il dito sull’oblò a mantenere il contatto con il pianeta blu. Ecco il volto di Sofia, la giovane, preistorica donna siciliana, rinvenuta in una tomba nell’entroterra agrigentino il giorno dei festeggiamenti per Santa Sofia. Per questo la chiamarono così. Sofia. Immaginò i suoi occhi fissi, increduli, verso quella strana luce - viaggiante - con la coda. Terrore. Riti. Magia.

Rammentò un’antica poesia, l’indice ancora sull’oblò: Seimila anni fa, di Trilussa. Come faceva, a un certo punto? Più o meno così:

Iddio fece un'inchiesta er primo giorno/pe' vede' come staveno le cose:/- Che sia fatta la luce! -[…]
spartì la robba, accese er sole e fece/la luna nova co' le stelle d'oro […].
J'usciva tutto quanto per prodiggio/come sorte la robba dar cappello/d'uno che fa li giochi de prestiggio;
/quer che pensava je veniva fatto.

I giochi di prestigio, la sua passione come per quel ragazzino col binocolo. Pensò che doveva entrarci in qualche modo quella quercia.

Giochi di prestigio e poesia.

Che cosa mai ha spinto i fatui raggi del sole/ a dannarsi per rompere il silenzio della terra? Le parole del poeta inglese Wilfred Owen evocano l’orrore della prima guerra mondiale (dove sarebbe caduto appena venticinquenne), ma per uno strano gioco di associazioni, gli parlavano ora del mistero della Terra, un mistero che ogni volta si sentiva quasi di violare.

Invidiò per un istante Sofia. E Leo, con il suo binocolo.

Staccò l’indice dall’oblò. “Piacere di incontrarti”, ripeté. “Ti salutano Sofia e Leo. Sono qui per loro. Con loro.”

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