Da quanti anni sento parlare di stupri di necessità di mettere un freno? 30/40 anni? E cosa è cambiato? «In Italia meno di un decimo ha il coraggio di denunciare l’affronto subito, per vergogna, per paura di rappresaglia, per sfuggire a un immeritato discredito, soprattutto per non vivere l’esperienza umiliante di quei processi». Queste le parole usate nel maggio del 1979 dal politologo Luigi Firpo. E queste parole ancora attuali. Purtroppo.
La cifra nera è la differenza tra il numero dei reati commessi e quelli che risultano all’attività giudiziaria, cioè su quelli si cui si indaga e si tenta di arrivare al colpevole. Secondo le ultime statistiche, una donna su tre nella sua vita ha subito violenze fisiche o sessuali, nella maggioranza dei casi da parte del partner o di un familiare.
A commettere le violenze più gravi non sono gli sconosciuti, che nella maggior parte dei casi sono autori di molestie sessuali, ma i partner o gli ex partner, in sei casi su dieci. «Perché ci dobbiamo porre l’obiettivo di portare a denunciare tutte le donne? Per avere statistiche migliori? Io porrei invece come primo obiettivo un processo in cui l’Autorità ha imparato a rispettare la parola delle donna», ha commentato Manuela Ulivi poco tempo fa in un intervista su Rai 1, avvocato e presidente della Casa delle Donne Maltrattate. «Dopo due, tre anni di processo alcune mi dicono: se lo avessi saputo, non avrei fatto nulla. Da donna, da avvocato, è ogni volta un dolore terribile. Mi chiedo se il diritto sia capace di restituire qualche cosa a chi ha la forza e il coraggio di denunciare oppure non fa altro che mettere nei guai».
Un esempio? A Milano sono aumentate le denunce per violenza domestica, ma nella stragrande maggioranza dei casi vengono archiviate dalla stessa procura, che non ha abbastanza persone per portare avanti le indagini. Così dopo la presentazione della denuncia si vive il momento di rischio maggiore. E quando arriva l’archiviazione, resta solo un grandissimo senso di impunità.
Come raccontato dalla quinta edizione del Global Media Monitoring Project, la più grande ricerca sulla rappresentazione di genere nei mezzi d’informazione, quando si parla di vittime una donna su quattro fa notizia. Se parliamo di violenze sessuali, spesso i media colpevolizzano la donna violata, suggerendo che in qualche modo se la sia andata a cercare.
Raramente si discute dell’incidenza reale del fenomeno: nella stragrande maggioranza dei casi gli autori delle violenze sono partner o ex partner. Ancora. Spesso i media concedono attenuanti al colpevole, adducendo come movente la gelosia o la fragilità psicologica e ricorrono a immagini che ledono la dignità delle vittime. Nel caso degli stupri di Rimini abbiamo assistito a rappresentazioni al limite del pornografico.
I media inoltre non inquadrano il fenomeno in un discorso culturale più generale, che ha a che fare con il mancato riconoscimento dell’uguaglianza fra donne e uomini e con la sopravvivenza di una cultura del dominio e del possesso.
E poi ci si chiede come mai molte donne non denunciano? Per essere violentate mediaticamente e nei processi? Forse un primo passo serio deve essere fatto sia dai media nel riportare i fatti che nelle aule di tribunale dove una donna già ferita, venga rispettata e non vilipesa restituendole quella dignità che la violenza le ha rubato. Forse per sempre.