Aprile 2019

RIETI MISTERIOSA

LA CROCE DI S. CHIARA E IL DIAVOLO

storie

Un itinerario diverso. Dopo avervi parlato della Rieti storica, della Rieti culturale, della Rieti Sotterranea, della Rieti degli Angeli, della Rieti dello Sport, vorremmo parlare della Rieti Misteriosa (cerca la nostra pagina su Fb) .
Ogni città ha i suoi segreti, i suoi luoghi nascosti, le sue leggende popolari.
Storie, invenzioni, fatti singolari legati all’occulto o alla magia. Si tramandano da secoli di padre in figlio, e poi da nonni a nipoti. Noi stiamo raccogliendoli da anni in questa rubrica. Vorremmo riportare alla luce quei racconti racchiusi all’interno dei nuclei familiari, quel ‘sentito dire’, quella dicerìa. Se possibile cercheremo di approfondire le varie ‘voci’ e ricondurle all’elemento generativo, ma non è questo (non solo, perlomeno) lo scopo. Sono così curiosi e attraenti questi racconti da catturare la nostra curiosità a prescindere dalla loro attendibilità. Per portare avanti questa rubrica e la relativa pagina Fb, ovviamente, avremo bisogno della collaborazione di chi tiene a far sì che le nostre radici non vengano recise, di coloro che amano ricordare e tenere in vita, evocando le loro parole, i nostri avi. Come? 
Basta a volte uno spunto, un’esortazione, un ‘gancio’ iniziale, l’indicazione di un luogo per dare il via ad una sorta di caccia al tesoro della memoria che potrebbe coinvolgere l’intera città (e non solo), ad iniziare dalle persone più anziane. Potrete lasciare privatamente indicazioni per non svelare immediatamente il contenuto di una delle prossime puntate. Oggi riproponiamo una storia assai popolare legata in ogni epoca alla presenza del Diavolo.

La Croce posta nella fenditura dinanzi al Monastero di Santa Chiara
Raccontava il dott. Enzo Tarani “Sono cresciuto a San Francesco e nonna mi portava alle quarantore delle suore di S. Chiara. Passavamo dinanzi alla croce e, nel doppiarla, nonna mi metteva sotto il suo grosso scialle per proteggermi ‘Nonna, ma perché?’ ‘Zitto, fatti il segno della croce! Lo vedi quel taglio nella parete di roccia? Ebbene da lì esce il diavolo, segnati e stai coperto!” Non chiesi come fosse nata quella leggenda, ne’ allora ne’ mai! Diventai grandicello: passando lì davanti mi segnavo, affrettavo il passo e… ringraziavo Dio che Bobbo (come lo chiamava nonna Mariuccetta) non fosse escitu”
Miranda Carapacchi “Negli anni ’50 frequentavo spesso quel rione. Silvana, Giuseppina, Dina, Giovanna, Marisa abitavano a San Francesco ed io le raggiungevo con Maria e Nunziatina come apprendiste di taglio e cucito. Eravamo terrorizzate da quella croce, impensabile passarci davanti stando sole. Memorabile rimase una corsa coraggiosa nella notte da parte di Eleonora che aveva saputo della morte del papà, in quell’occasione sconfisse la paura del Diavolo”
Assia Franceschini “Per quanto mi fu raccontato durante una processione lì venne ucciso un ‘fratello’ di S. Antonio che non voleva cedere il suo posto durante il trasporto della macchina del Santo. La versione di mia madre è invece che la leggenda de ‘lu diaulu’ venisse messa in giro ad arte per evitare che, da quella fenditura nella roccia, la gente si arrampicasse fino ad arrivare ai granai dei Potenziani soprastanti, rubando il grano.”
Diceria anonime “Si dice che una notte uno dei frequentatori delle bettole passando di là incontrasse un bell’uomo distinto. Sembrava essere uscito da un gran ballo: indossava un frac, un mantello ed una tuba. Chiese al reatino se avesse del fuoco. All’accendersi del fiammifero nella notte si sparse intono un forte odore di zolfo e l’elegante signore si dissolse nel nulla.”
Versioni anticlericale: “In zona c’erano dei frati cercatori, alloggiavano in un ambiente di Via San Carlo e spesso scendevano per frequentare delle donnine di dubbia moralità, sicuramente giovava loro non essere visti: la storia del Diavolo serviva come copertura”;. Ed ancora “Sbaglio o oltre al monastero c’era un convento di frati? Faceva comodo sgomberare la strada da possibili scomode intrusioni di curiosi che avrebbero potuto raccontare ‘certi movimenti frequenti all’epoca.”

Le radici della leggenda popolare

Spiega Rita Giovannelli “Questa leggenda fu utilizzata in epoca medievale per spaventare gli abitanti ‘intramoenia’ affinché non uscissero fuori: una sorta di controllo della popolazione. In quell’epoca era bene tornare in città alla chiusura delle porte, e accanto a Santa Chiara c’era la cinta muraria romana sviluppata sulla rupe di travertino, dove s’intravedono ancora le scalette fiancheggianti l’edificio della Fondazione Varrone. Un tempo erano chiuse da una porticina e riportavano in via San Carlo (attuale Via dei Crispolti). La croce in quella fenditura naturale dava una certa consistenza all’apparizione del diavolo. Le cronache cittadine raccontano però qualcosa di diverso. Il palazzetto accanto, sviluppatosi a ridosso delle mura, ospitava il proprietario di un mulino che stando più in alto rispetto al fiume, vi ricoverava il macinato. La fame era tanta e diffusi erano i furti di sacchi di farina. ‘Lu mulinaru’ (così è citato) aveva inventato una sorta di allarme artigianale: nottetempo si appostava per difendere il prodotto del mulino indossando una volta un lungo velo bianco, un'altra uno nero; i ladri scappando diffondevano la voce ‘Fiju meu loco aemo istu lu diaulu!’” Quindi non si trattava dei granai dei Potenziani? “No, il loro granaio era ubicato nell’attuale sede della Fondazione. Un loro mulino era in prossimità di Palazzo Potenziani, vicino al Panificio Sabino. Dove attualmente c’è la fontanella di via San Francesco, non esisteva muro (costruito negli anni Trenta dal regime fascista per contenere le piene), c’era l’acqua che arrivava tranquillamente fino all’attuale panificio e inondava le arcate le cosiddette darsene del Palazzo in cui un tempo c’era l’Istituto d’Arte. Lì sotto il mugnaio riportava tutte le sere i sacchi che toglieva da entrambi i mulini dei Potenziani (il secondo all’altezza della Chiesa di San Michele Arcangelo) posti a sinistra e a destra dell’isolotto creatosi sul fiume Velino. Nel caso del nostro personaggio si tratta probabilmente di un mulino più piccolo non appartenente a questa nobile famiglia.” Nulla a che vedere quindi con una sorta di diversivo per non porre attenzione a movimenti possibili da parte di suore e frati? “Difficile. Parliamo di epoca medievale. La Chiesa di Santa Chiara si sviluppa in seguito, sui resti della casa di Angelo Tancredi da Rieti, il cavalier gentile, primo nobile della storia che segue San Francesco nella sua predicazione, svestendosi dei propri abiti ma anche dei propri averi. Dalla donazione, posteriore, della famiglia alle suore, sarà sviluppato il Convento. Improbabile quindi anche perché si narra che tra il Monastero di Santa Chiara ed il Convento di San Francesco fossero comunque attivi dei cunicoli che mettevano in collegamento i due edifici.” (e dove negli scavi e negli anni a seguire sarebbero avvenuti macabri ritrovamenti di piccoli corpicini: anche questa leggenda o realtà? N.d.r.)

Stefania Santoprete

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