Agosto 2019

RIETI MISTERIOSA

ILLUMINATO DA RIETI, IL FRATE AMICO DI SAN FRANCESCO

storia

(di Massimo Palozzi) Questo è in qualche misura il racconto di un falso storico. Un innocuo falso storico, s’intende, come ne girano tanti. Che impone certo una riparazione in nome della verità, ma costituisce anche l’occasione per recuperare alla memoria una figura di spicco nel panorama del francescanesimo e delle sue influenze sulle generazioni seguenti.

Primi giorni di settembre 1219, esattamente otto secoli fa. Nel pieno della quinta crociata Francesco d’Assisi riesce dopo vari tentativi a farsi ricevere dal sultano d’Egitto al-Malik al Kamil, nipote di Saladino. È un momento carico di tensione. Islam e cristianesimo si fronteggiano sanguinosamente nei prodromi di quello che oggi definiremmo uno scontro di civiltà. L’unico occidentale presente all’incontro che si svolge a Damietta, a pochi chilometri dal Cairo, è Frate Illuminato da Rieti, che aveva già accompagnato Francesco in molti viaggi. Si tratta dunque di un personaggio tenuto in grande considerazione dal futuro santo, come dimostrato anche da un avvenimento successivo: quando il 17 settembre 1224 Francesco riceve le stimmate, confida l’accaduto solo a Illuminato e dietro suo suggerimento decide di renderlo pubblico.

L’importanza e la rinomanza del frate sono tali che perfino Dante lo evoca nella Divina Commedia al canto XII del Paradiso: “Illuminato e Augustin son quici,/che fuor de’ primi scalzi poverelli/che nel capestro a Dio si fero amici”.

Nella storiografia ufficiale il religioso viene citato come Illuminato da Rieti (da non confondere con il contemporaneo Illuminato da Chieti, anch’egli eminente membro dell’Ordine dei Frati minori e vescovo), benché a dispetto del nome la sua biografia sia rimasta a lungo piuttosto oscura. Si presume che la fama di cui godeva fosse tale da non aver bisogno di specificazioni nelle carte che lo menzionavano, come invece è accaduto per molti confratelli.

Altre interpretazioni minoritarie addebitano invece ad un voluto oblio la perdita di notizie su Illuminato, considerato per la sua autorevolezza e la rigida interpretazione dei principi francescani un personaggio scomodo per i detentori della guida dell’Ordine.

Paradossalmente, dunque, proprio la sua notorietà in vita gli procura una sorta di damnatio memoriae nei tempi a venire, almeno fino al 1999, quando alcuni studi sul Santuario di Piediluco permettono di ricostruirne le vicende familiari.

In un documento del 1246 (la cosiddetta “Lettera di Greccio”) viene indicato come Frate Illuminato dell’Arce. Si tratta di un’annotazione rivelatrice che consente finalmente di collocare questa misteriosa figura in un contesto sociale piuttosto ben definito.

Il nome secolare di Frate Illuminato, di cui parla lo stesso Francesco in una cronaca al rientro da una missione in Valnerina, era Accarino della Rocca. Esponente di una schiatta nobiliare, amministrava una porzione del feudo umbro degli Arroni e insieme al fratello Ottonello era signore di Rocca Accarina, un antico castello costruito su un poggio sulla riva sinistra del fiume Nera a dominio di un territorio esteso dal lago di Piediluco al Nera e da Casteldilago alla Cascata delle Marmore.

Accarino conosce Francesco durante uno dei primi pellegrinaggi in quest’area tra il 1208 e il 1210 e ne viene conquistato a tal punto da seguire il suo esempio, spogliandosi letteralmente di tutti i suoi beni. Cede così averi e diritti feudali al figlio Enrico e decide di unirsi al carismatico leader, cambiandosi il nome in Frate Illuminato dell’Arce (ossia della Rocca).

Enrico non ha eredi e alla sua scomparsa in età relativamente giovane le sue sostanze tornano al padre, che aveva però fatto voto di povertà abbracciando in pieno il modus vivendi della fraternità francescana. Nel frattempo, siamo nel 1238, Ottonello, fratello di Accarino, aveva ceduto la sua metà della Rocca al Comune di Spoleto, riservandosi il diritto di possesso fino alla morte. Per conseguire la piena proprietà sulla Rocca il Comune di Spoleto doveva quindi acquisire anche la parte ritornata nella disponibilità di Accarino, il quale aveva tuttavia perduto la titolarità sul castello a causa della rinuncia ad ogni bene terreno, compresi quelli incamerati dopo la morte del figlio. Il problema si risolse grazie al ministro generale dell’Ordine, Frate Elia, che concesse una specifica dispensa il 15 ottobre 1238 per dare facoltà a Illuminato di disporre temporaneamente dei beni ricevuti in eredità e poterne ufficializzare la cessione al Comune di Spoleto.

Il frate fu molto longevo, anche se non si conosce la data della sua nascita. Spirò ad Assisi il 5 maggio 1266 e il suo corpo venne sepolto nella chiesa del convento probabilmente vicino alla tomba di Francesco, morto quarant’anni prima.

Illuminato da Rieti, insomma, non era reatino, ma a questo punto della storia poco conta. Come i giardini del Vignola che si aprono ai piedi dell’attuale palazzo della Prefettura in piazza Cesare Battisti non sono in realtà opera del famoso architetto cinquecentesco ma verosimilmente di un suo epigono, il lombardo Giovanni Domenico Bianchi, allo stesso modo il nome del compagno prediletto di Francesco rimarrà per tutti e per sempre Illuminato da Rieti.

 

05-09-2019

condividi su: