Ed ecco, finalmente, l’estate: il mese di luglio quasi ci sorprende, dopo la lunga, estenuata campagna elettorale in cui si è consumata la nostra primavera, dopo la tornata d’esami che ha accomunato tra ansia e fatiche candidati e professori, rinsaldando il patto tra le famiglie e la scuola che mai come in questo anno di tribolazioni è stato tanto instabile e discusso. Ma chiunque resti in città, rimandando ad agosto le ferie sospirate, avrà quest’anno non poche difficoltà a cercare requie alla calura sotto l’ombra dei viali.
Sottoposti ad una radicale capitozzatura, i platani levano invano verso il cielo i rami mutilati, appena rinverditi da un tardivo fogliame che tenacemente li ricopre, quasi a velare le recenti ferite inferte senza riguardi per la botanica e per le più elementari norme di sicurezza sul lavoro, almeno a giudicare dai danni arrecati alle cancellate rabberciate alla meglio, come nel caso dell’Asilo Maraini, un piccolo gioiello di architettura razionalista donato nel 1937 alla città dalla contessa Carolina Sommaruga, vedova dell’industriale Emilio che aveva contribuito in maniera determinante a modernizzare l’economia locale, tradizionalmente vocata all’agricoltura.
Non un filo d’ombra attenuerà la calura estiva, dunque, a meno che non decideremo di deviare i nostri passi lungo il viale dei Flavi per attraversare poi una delle due parallele che costeggiano la ferrovia da un passaggio a livello all’altro, a settentrione via Loreto Mattei, a meridione via Mattia Battistini.
Se al primo dopoguerra risale l’urbanizzazione del quartiere dei Flavi, con i suoi villini Liberty a cui fa da aprifila il magniloquente complesso dell’INCIS, cittadella destinata all’origine ad alloggiare gli impiegati dello Stato, la maglia edilizia ai margini della ferrovia s’infittisce negli anni Cinquanta del Novecento e la stessa intitolazione di matrice colta rivela facilmente il nome del suo autore: fu certo il professore Angelo Sacchetti Sassetti, sindaco di Rieti prima e dopo il ventennio, a voler celebrare così la memoria di due grandi che in secoli e in campi diversi avevano onorato la terra natia.
Loreto Mattei, autorevole membro della reatina Accademia del Tizzone, ammesso in Arcadia con il nome di Laurindo Acidonio, durante il Seicento esercitò con onore le cariche pubbliche di Gonfaloniere, Podestà e Pretore. Alla morte dell’amata moglie Porzia Cerroni, scelse di dedicarsi al sacerdozio impegnandosi nella traduzione dei Salmi di David e delle liriche di Orazio, pur moralizzato e parafrasato, ma continuò pure a praticare con ironia salace la poesia dialettale, tanto da essere apprezzato ed imitato da Giuseppe Gioacchino Belli, disincantato cantore della Roma papalina.
Tra la fine dell’Ottocento e il primo quarto del Novecento, Mattia Battistini fu celeberrimo baritono, calcando le scene dei più prestigiosi teatri del mondo e meritando di essere osannato come Re dei baritoni, baritono dei Re. Benché, lasciato il palazzetto di famiglia in piazza del Leone, si ritirasse nella villa di Collebaccaro affrescata dai fratelli Calcagnadoro scelta come buen retiro dove ritemprarsi tra una tournée e l’altra, anche Mattia Battistini amò sinceramente la città di Rieti, impegnandosi a favorirne lo sviluppo. Con ragione, dunque, il sindaco Sacchetti Sacchetti forte della sua esperienza di storico intese ricordare questi due reatini d’eccezione: pensiamo a loro anche noi, con rispetto e gratitudine, ora che ci regalano una breve tregua ai raggi implacabili del sole di luglio.