Dicembre 2019

RIETI MISTERIOSA

IL MARTIRIO DI SANTA BARBARA, PATRONA DI RIETI

storie

(di Massimo Palozzi) Il 4 dicembre si celebra come ogni anno la ricorrenza del martirio di Santa Barbara, patrona di Rieti (ma anche di Scandriglia, per restare in provincia, e di altre località e categorie professionali). Secondo la versione più accreditata Barbara nacque nel 273 a Nicomedia, in Turchia, e da bambina si stabilì in Sabina al seguito del padre Dioscuro che aveva ricevuto in dono dall’imperatore Massimiano una villa e vasti possedimenti come ricompensa per il suo valore militare.

Barbara era bella e per proteggerla dai pretendenti Dioscuro fece costruire una torre che divenne ben presto una vera e propria prigione allorché la ragazza decise di convertirsi al cristianesimo, religione alla quale era stata introdotta dalla madre.

L’uomo era un fervente pagano e ne rimase profondamente contrariato soprattutto quando, nonostante l’impegno profuso per dissuaderla, Barbara si dimostrò irremovibile nell’adesione alla nuova fede ancora illegale da professare. L’affronto era imperdonabile: l' azione  comprometteva la carriera di Dioscoro alla corte dell'Imperatore. Il padre la consegnò alle autorità che la sottoposero ad un processo durato due giorni senza risparmiarle atroci tormenti. La condanna a morte arrivò scontata e fu eseguita dallo stesso Dioscuro che, il 4 dicembre 290, uccise la figlia adolescente decapitandola con la sua spada. Subito dopo, riporta la tradizione, il cielo si oscurò e un fulmine lo incenerì.

Il corpo di Barbara venne sepolto nei pressi di Scandriglia e lì riposò fino alla fine del X secolo, quando i Reatini lo recuperarono per traslarlo a Rieti dove si trova tuttora, custodito sotto l’altare maggiore della cattedrale.

Dalla Sabina al Cicolano, una sventura per certi versi simile si abbatté tredici secoli più tardi su un’altra giovane donna. Beatrice Cenci era figlia del conte romano Francesco, nobile di rango ma dissoluto e violento, pregiudicato per vari reati, malato e inseguito dai creditori, che per evitare di pagarle la dote per il matrimonio la fece rinchiudere insieme alla seconda moglie Lucrezia Petroni nel piccolo castello di Petrella Salto, di proprietà della famiglia Colonna.

Quando vi si ritirò anche lui, la convivenza divenne impossibile a causa dei soprusi e degli abusi, forse anche di natura sessuale, cui la ragazza veniva sottoposta.

Falliti un paio di tentativi, con l’aiuto di Lucrezia, dei fratelli Giacomo e Bernardo e di altri due complici, Beatrice riuscì infine a liberarsi del padre, che venne trucidato il 9 settembre 1598 nel corso di un cruento agguato.

I congiurati cercarono maldestramente di far passare l’omicidio per un incidente simulando una caduta accidentale. I sospetti non tardarono però a farsi strada e le diverse inchieste portarono infine all’ammissione di colpevolezza da parte di tutti gli indagati, compresa Beatrice che inizialmente aveva negato ogni coinvolgimento, salvo poi confessare dopo aver subìto il supplizio della corda.

Al termine di un processo rimasto nella storia anche per evidenti difetti procedurali, i fratelli Giacomo, Beatrice e Bernardo e la loro matrigna Lucrezia furono condannati alla pena capitale. Degli altri due imputati, uno era morto sotto tortura e l’altro eliminato per evitare ulteriori rivelazioni contro i Cenci.

L’11 settembre 1599 nella piazza di Castel Sant’Angelo a Roma, di fronte ad una folla oceanica (c’era anche Caravaggio tra gli spettatori accalcati) che rumoreggiava per ottenere un atto di clemenza che non arrivò mai, i rei vennero giustiziati. Il boia decapitò dapprima Lucrezia e a seguire Beatrice, mentre Giacomo morì mazzolato e squartato. A Bernardo giunse invece il perdono di papa Clemente VIII che, in ragione della sua giovane età, commutò il patibolo in detenzione, pur essendo costretto ad assistere a tutte le esecuzioni.

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