a cura di

Aprile 2019

IL VENTO CALDO DELLA RIBELLIONE

IL KARNHOVAL 1969, QUANDO RIETI DIVENNE LA 'SPOLETO INVERNALE'

seconda parte

storie

(di Stefania Santoprete) Un grande esperimento si svolse a Rieti. Prevedeva il coinvolgimento di artisti provenienti da tutto il mondo e l’accoglienza, da parte di una città tranquilla come la nostra, di  un movimento diverso da quello a cui era abituata, tanto da lasciare tutti interdetti.

La Spoleto invernale” così fu definita sulla rivista “Ciao 2001” numero di marzo, a seguito del Karnhoval, rivoluzionario Carnevale, organizzato da Alberto Tessore.

“Era il periodo d’oro dei primi anni del Festival dei Due Mondi. Non dimentichiamo che sede originale dello stesso doveva essere proprio Rieti. Menotti era venuto inizialmente in questa Città a proporre il suo progetto ma gliel’avevano rifiutato, solo allora era approdato in Umbria”.

Il parcheggio sopra il mercato coperto, in Piazza,  era tutto occupato dagli stand in cui era possibile tirare uova a pagamento o lasciare le proprie impronte colorate su un poster gigante. Le strade erano invase da strane processioni di uomini alternati a vermi di plastica, originali istallazioni apparivano in spazi definiti ‘sacri’ come il foyer del Teatro Flavio Vespasiano.

Del Karnhoval erano inizialmente tutti curiosi. Partì molto bene con la definizione del “Carnevale degli artisti”, finì purtroppo con i titoli eloquenti che spuntarono sulle pagine locali “Milioni gettati al vento”, “Inutile appuntamento per la carnevalata dei Maoisti”. Trionfalistici suonavano invece gli articoli sulle riviste d’oltre provincia, Nell’ambiente artistico il Karnhoval era addirittura supervalutato, si trovava folle (quindi vincente) l’idea di portare l’avanguardia artistica in una piccola cittadina come la nostra. Rieti non riuscì a capire e quindi ad apprezzare completamente quanto stava avvenendo sotto i suoi occhi, ne è consapevole il prof. Tessore “Era un modo per assaporare quanto avveniva nel mondo. Ricordo con piacere però un intervento pubblico di dieci anni fa in cui  il prof. Formichetti (non certo l’ultimo arrivato)  riconosceva che si era trattato dell’evento culturalmente più interessante fatto negli ultimi trent’anni”.

Del Comitato organizzatore facevano parte Emilio Villa (ritenuto il precursore della neoavanguardia, del Gruppo 63 e dei Novissimi), Wolf Vostell (pioniere nella video-art e nella creazione di happening. La sua opera più nota, 6 TV dé-coll/age, venne mostrata per la prima volta nel 1963 a New York insieme alle sue note opere di trasformazione di auto americane in sculture, ora a Colonia, Berlino, Chicago) Julien Blaine (poeta, artista visuale e sonoro, performer, editore e direttore di riviste francesi), John Hopkins (fotografo degli Stones, dei Beatles e di molti altri personaggi, famosi e non, che hanno animato la scena culturale e politica degli anni ’60). Al fianco di Tessore sulla locandina di quella manifestazione appare Adriano Spatola una delle figure di maggior rilievo nella cultura letteraria italiana della seconda parte del Novecento (il Baudelaire di Guccini - di cui era grande amico - nella sua ‘Bologna’). Un parterre de roi degno di attenzione, attraverso il quale la città divenne veramente per qualche giorno l’ombelico del mondo.

Proviamo ad immaginare di proiettare quell’esperimento ai giorni nostri, cosa porterebbe qui e perché?

“Cercherei di convincere i gruppi locali a fare qualcosa di rottura anziché fare le cose tradizionali di sempre. In quegli anni ad esempio avevo fondato un Centro di Poesia che ospitò Elio Pagliarani, uno dei principali poeti della seconda parte del secolo scorso appartenente al Gruppo ‘63.

All’interno dei locali del Club ’66, preso in affitto - racconta - eseguivamo delle piece-collage con Aldo Vella, la mia compagna di allora Ulriche che danzava e Osanna (Marini). Si trattava ad esempio di uno spezzettamento di “Addio giovinezza”, feuilleton assai classico, sezionato, fatto a fette e trattato per ogni segmento con uno stile diverso, fino a renderlo irriconoscibile. Bellissimo anche questo tentativo, peccato averlo interrotto!”

Il prof. Tessore non ha mai smesso di concepire questo genere di idee. La stessa spinta di allora è quella che muove “20 eventi” la manifestazione che da diversi anni porta in Sabina l’arte contemporanea, altrettanto dirompente di quanto fu allora il Karnhoval.

“Ho visto dei carri sfilare magari ben fatti ma ho avuto una sensazione di deja-vu. Personalmente mi interessa portare degli artisti giovani, studenti di accademia, che fungano da traino per la gente locale. Io non credo all’arte con la ‘A’ maiuscola. Alcuni mi hanno chiesto perché non invitassi il grande nome così da portare il pubblico da Roma: sono contrario, ci sono già molte gallerie, non c’è bisogno. Buona parte del magro bilancio a disposizione lo investo nelle scuole, dove mando persone preparate a lavorare con i bambini  per poi mettere i loro lavori in mostra accanto alle opere degli artisti che vengono da Berlino, Parigi o Londra. I bambini sono più inventivi di ciò che pensiamo, la scuola tende a frustrare, a soffocare la loro fantasia.

Se un alunno disegna una casa con le finestra rotonde c’è ancora qualche maestra (sempre meno fortunatamente) che obietta ‘le finestre sono rettangolari”, non è vero in Cina sono rotonde! La fantasia è enorme e non va imbrigliata: 2+2 fa 4 ma una finestra può essere rotonda! Gaudì a Barcellona ha fatto cose meravigliose che non hanno nulla a che vedere con la tradizione”.

In che modo l’arte entra nella nostra vita personale e la trasforma?

 “L’arte sperimentale, lo dice la parola stessa - sottolinea Tessore - è discutibile in quanto esperimento. Non tutto è condivisibile, ha dalla sua però una caratteristica fondamentale: non basandosi su regole precise ti apre la testa e ti porta alla tolleranza, a renderti conto che si può sviluppare un’opera in modi diversi. Tempo fa sono andato a Terni per accompagnare una mia conoscente ad una cerimonia e, con grande stupore, ho scoperto che un garage era stato trasformato in un tempio indù sik: mi è sembrato di tornare in India. Saranno passate almeno trecento persone, tutte ben vestite all’indiana, ovviamente, avevano preparato del cibo, mi hanno invitato a mangiar con loro… si è trattato di un piccolo viaggio. Dobbiamo abituarci a questa nostra nuova realtà. Ci piaccia o non ci piaccia i confini del nostro mondo si sono allargati. Credo che l’arte possa servire molto a questo. Sono convinto che se la gente di una certa età anche di Rieti entrasse una mattina in quel tempio resterebbe stupita come nell’entrare in una galleria d’arte moderna. L’arte contemporanea ti aiuta a provocare questi strappi, ad effettuare queste rotture per rimettere in moto la tua vita ed allargare il cervello, a dirti: c’è altro!”

condividi su: