a cura di Massimo PALOZZI

Dicembre 2018

POLVERI SOTTILI

FORSE NON TUTTI SANNO CHE

città

(di Massimo Palozzi) - Da evento politicamente più importante dal voto del 4 marzo a meteora mediatica. L’elezione del nuovo presidente della Provincia è passata nell’indifferenza generale e non poteva essere altrimenti, visto che non si è trattato di una designazione popolare ma di un’elezione indiretta, tutta interna alla comunità dei sindaci e dei consiglieri comunali, dopo che la riforma Del Rio del 2014, non potendole eliminare per il vincolo costituzionale, ha svuotato le Province delle loro prerogative.

Fatti gli auguri al neopresidente Mariano Calisse, sindaco di Borgorose in quota centrodestra che ha prevalso su Carmine Rinaldi, sindaco di Fiamignano candidato dal centrosinistra (che ha così perso la guida della Provincia dopo ben 23 anni), il principale dato metapolitico resta dunque la perdurante sottrazione del voto ai cittadini rispetto ad un ente che è stato nei fatti abolito ma che conserva un simulacro di dignità istituzionale insieme a competenze importanti come quelle sulle scuole e sulle strade.

A parte i cultori della materia, è probabile che solo pochissimi altri conoscano il nome del nuovo presidente e sappiano che al momento il consiglio provinciale continua ad essere l’uscente ormai a fine mandato, in seno al quale è stato scelto come vice di Calisse Marco Cossu, vicesindaco di Casperia di Fratelli d’Italia, che però rimarrà in carica solo fino a gennaio, quando sempre in via secondaria verrà eletta la nuova assemblea e nominato il suo successore, comunque già assegnato alla Lega.

Insomma, non proprio uno spot per la democrazia rappresentativa, se si pensa anche che i “grandi elettori” sono stati chiamati ad esprimersi attraverso un complicatissimo sistema di voti ponderati in base alla consistenza numerica della popolazione amministrata, per cui Rinaldi ha addirittura preso più preferenze di Calisse, ma questi ha vinto per il maggior “peso” delle sue.

Se son rose
Ai critici di ogni ordine e grado la manovra economica del governo ricorda la famosa canzone del compositore lituano Raimonds Pauls “Un milione di rose rosse”. Ispirata alle vicende di inizio Novecento dell’artista georgiano Niko Pirosmani, racconta la storia di un pittore talmente innamorato di un’attrice che, per fare colpo su di lei, vende tutti i suoi averi e con il ricavato compra un mare di fiori con cui inonda la piazza davanti alle finestre dell’amata. L’effetto è spettacolare ma inevitabilmente effimero e la trovata lascia lo spasimante spiantato.

Solo il tempo dirà chi avrà avuto ragione. E’ tuttavia sintomatico che a Rieti la Lega sia entrata in giunta con il centrodestra guidato da un sindaco di Forza Italia, lasciando il Movimento 5 Stelle all’opposizione con il detestato Partito Democratico, proprio nelle ore in cui il governo gialloverde affrontava la sua prova più difficile con l’Europa, i mercati, le istituzioni finanziarie internazionali, le agenzie di rating.

Gli equilibri territoriali seguono ovviamente dinamiche diverse dagli orientamenti nazionali, ma a pochi mesi dalle cruciali elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo potrebbe essere un segnale da non sottovalutare.

Nomen omen
Sarà che l’anagramma di Di Maio è “Odiami” ma la strategia dello splendido isolamento scelta dal Movimento 5 Stelle non sembra reggere a Rieti la concorrenza interna. Nonostante una rappresentanza istituzionale significativa (un deputato e un consigliere al Comune capoluogo), i grillini locali si segnalano infatti più per le loro lotte intestine che per un’efficace azione politica, a differenza dei compagni di governo della Lega che hanno fatto il percorso opposto, debordando rapidamente sul campo e sull’elettorato altrui.

Da zero i leghisti di casa nostra sono riusciti dapprima a costituire un gruppo consiliare a Palazzo di Città (sebbene non avessero nemmeno presentato il simbolo alle amministrative dell’anno scorso), quindi ad ottenere un assessore, infine a prendersi il vicepresidente della Provincia che sarà eletto a gennaio. Davvero niente male. D’altra parte, l’anagramma di Salvini è “L’invasi”.

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