Due donne. Assai diverse tra loro. Il lockdown e la necessità di traportarsi altrove attraverso un gruppo Facebook nato come mutuo soccorso. Voglia di ridere, di leggerezza tra tante pressioni negative. Elisabetta Occhiodoro non era nuova alle nottate insonni; dopo la tragedia che aveva colpito la sua famiglia era abituata a confidare i suoi pensieri al popolo della notte tramite il display di un telefono. Facile farlo, anche durante il Covid, soprattutto se ad ascoltarti ci sono persone sconosciute, da quelle parole oggi prende forma un libro ‘Ricordami chi sono’.
”Io semplicemente comincio in quelle notti a conversare con un'amica completamente diversa da me, conosciuta per caso via messenger – ci racconta Elisabetta - nasce una promessa che appena avremmo potuto vederci ci saremmo abbracciate e così è stato. Dopo un po’ di tempo ho chiesto a Paola Corradini di mettere in ordine i miei pensieri e aggiungere le sue riflessioni. E’ quindi un dialogo tra due donne, non scontato. C'è molto della mia vita ma non in ordine cronologico, è un flusso di pensieri spontanei trascritti su fogli di carta e addirittura fotografati per inviarli a lei”.
“In realtà ho riordinato i suoi pensieri perché era come se già li conoscessi – spiega Paola – Il momento in cui ci siamo ri-conosciute, senza conoscerci realmente, era particolare. Volevamo stemperare il dolore che ci circondava attraverso appuntamenti fissi con varie persone che ci hanno aiutato ad andare avanti e che ritroverete anche nel libro. Ho unito alle sue le mie riflessioni, ho ritrascritto quanto mi era arrivato attraverso quei fogli senza cambiare praticamente nulla, era il suo sentire che mi ha permesso di conoscerla ancor meglio per condividere delle sensazioni e dei dolori che non se ne vanno mai.”
Paola si è rivista allo specchio?
“No, ho preso il dolore di Elisabetta e l’ho fatto mio. Ha avuto una grande forza ed io mi sono sentita onorata nel fare miei i suoi pensieri. In qualche modo è stata poi capace di portare alla luce anche i miei dolori, differenti. Ognuno ha avuto un percorso diverso, ce ne è solo uno che ci accomuna, la perdita di una persona cara: quella di colui che per me è stato quasi un papà, per lei quella dell'uomo della sua vita. Sono trent’anni che questo mio zio non c’è più, eppure è sempre presente; ci penso spesso e gli chiedo perché non ci sei, perché non hai potuto vedere le mie figlie, perché te ne sei andato così presto? Ci siamo riconosciute in questo tipo di dolore, grande”
Perché leggere questo libro?
“Affinché una volta terminata la lettura, chiudendolo, si possa veder nascere un sorriso. Si sorrida alla vita – dice Elisabetta - E’ dire possiamo passare attraverso la tempesta, fare i conti con uno squarcio quale in questo caso la perdita di un marito e poi affrontarne un altro che resta per sempre: guardare gli occhi delle nostre figlie con la consapevolezza che nessuno riuscirà a togliere loro quel velo che c’è. Ora riesco a dire ciò che mia madre mi ha insegnato e che in alcuni momenti della vita è stato anche pesante da accettare. Lei che ha provato sulla propria pelle un dolore ancora più straziante, la perdita di una figlia, mi ha sempre detto ‘La vita è bella’. Nel libro la rimprovero quasi: “Mamma qualche volta permettimi di dissentire, fammi dire che non è bella” ed è stata una liberazione urlarlo su un foglio. Dopo vent’anni riesco finalmente ad abbracciarla di nuovo, recuperando il mio rapporto con lei. In questo momento, sia pure da sempre conosciuta come ‘la donna sorridente’, sono consapevole del mio sorriso, so che arriva da un percorso. Adesso osservo le mie figlie, accetto i loro stati d’animo, e dico “Siete arrabbiate, ed è giusto; però ragazze: la vita è bella!”.
Come definireste nella ricorrenza dell’8 marzo questo binomio?
“Incastro. E’ come fossero pezzi di un puzzle, diversi ma perfetti nell’incastro per completarsi. Non credo Paola sia arrivata per caso, è servita per mettere in ordine i cassetti che, ho scoperto, sono ancora perfettamente disordinati”.
“Ho sempre detto che ringrazio il lockdown che mi ha fatto conoscere persone con la P maiuscola, tra cui Elisabetta, un’amica, un pezzo che mancava alla mia vita. Ho imparato che dal dolore può venire fuori qualcosa di bello, inserire la nostra storia nella ricorrenza dell’8 marzo credo sia un modo per ribadire quanto le donne nonostante il dolore riescano ad essere forti sempre. Una forza moltiplicata dalle alleanze.”