di Ileana Tozzi - A distanza di cinque anni dalle devastazioni e dai lutti del terremoto di Amatrice, c’è chi affabula pour épater les bourgeois e chi, in silenzio, con la discrezione e la concretezza che onorano la persona ed il ruolo, s’impegna per dare il proprio contributo alla salvaguardia di quanto rimane, reso ancor più prezioso dalla consapevolezza che in questi oggetti resta testimonianza preziosa del passato.
Siamo tutti debitori nei confronti del Prefetto Gennaro Capo per lo squisito, generoso intervento messo in atto per la custodia dei dipinti provenienti dal convento cappuccino di Santa Caterina di Alessandria di Amatrice in cui San Giuseppe da Leonessa trascorse gli ultimi mesi della sua esistenza terrena.
Dopo le soppressioni postunitarie, il convento, costruito intorno alla metà del Cinquecento, costituì il nucleo antico dell’Ospedale Grifoni lesionato irrimediabilmente dal sisma.
Solo grazie all’intervento dei Vigili del Fuoco sono state recuperate, insieme con il ritratto dal vero eseguito da Pasquale Rigo da Montereale alla morte del Santo Cappuccino, la bella tela eseguita in onore di San Giuseppe da Leonessa nel 1627 da Antonio Carocci da Preci, le due tele gemelle rispettivamente a San Felice da Cantalice, il frate cercatore amico di San Filippo Neri che per quarant’anni raccolse elemosine e confessioni per le strade di Roma, ed a San Bernardo da Corleone alla cui figura s’ispirò Alessandro Manzoni per tratteggiare la figura di Fra Cristoforo ne I promessi sposi, la grande tela dalla cornice mistilinea che raffigura il matrimonio mistico di Santa Caterina d’Alessandria in cui compare la figura del committente Alessandro Maria Orsini, principe di Amatrice imprigionato per trent’anni a Castel Sant’Angelo per aver causato la morte della prima moglie Anna Maria Caffarelli, la tela raffigurante la Sacra famiglia con i Santi Cappuccini Giuseppe da Leonessa, Fedele da Sigmaringen, Felice da Cantalice, collocate in una delle sale di rappresentanza del palazzo della Prefettura.
A questo interessante nucleo pittorico che testimonia la rilevanza dell’operato dei Frati Minori Cappuccini, si aggiunge un pregevole busto reliquiario secentesco in legno scolpito e dipinto che rappresenta con singolare realismo l’immagine di San Giuseppe le cui spoglie furono trafugate e ricondotte nella città natale dai devoti leonessani nel 1639, anche allora nelle dure circostanze di un terremoto.
La scultura, che denota l’eccellente livello raggiunto dalle botteghe diffuse lungo la dorsale appenninica attraversata dai confini tra Stato e Regno, è stata collocata nella cappella gentilizia.
Colligite quae superaverunt fragmenta, ne pereant. Questa è la testimonianza della parola di Gesù, raccolta dal Vangelo di Giovanni (6, 12), che il Prefetto di Rieti Gennaro Capo dimostra di aver meditato e messo in pratica così lodevolmente.