a cura di Massimo Palozzi

Gennaio 2022

IL DOMENICALE

A CHE SERVE L’URBANISTICA?

città, politica

di Massimo Palozzi - Ad inizio settimana il portale Casedavedere.it ha diffuso uno studio sull’andamento del mercato immobiliare dal quale emerge che, a seguito della pandemia da coronavirus, il Lazio ha fatto registrare un incremento degli acquisti in provincia, cioè lontano dai principali centri urbani, accompagnato da un complessivo calo dei prezzi. Uno scenario, notano gli analisti, sorto sulla scia di una tendenza diffusa a livello nazionale e dovuto in parte al fatto che molti proprietari hanno scelto di mettere in vendita le abitazioni prima date in affitto a turisti o studenti universitari. Abitazioni che ora per colpa del Covid non sono più appetibili per la loro destinazione originaria, tanto da passare da una crescita del 5% dei contratti a un calo del 3%.

Anche nel Lazio si sta insomma verificando quanto accaduto nelle regioni settentrionali, con transazioni tendenzialmente puntate su immobili più ampi e dotati di spazi esterni. Il trend rilevato a livello commerciale conferma la sensazione empirica di come si sia accentuata la fuga dai centri storici. Le metrature più ampie e i servizi esterni si rintracciano infatti più facilmente nei sobborghi, dove inoltre il costo medio per metro quadro si mantiene più contenuto. Il risultato è quella che viene efficacemente definita la “rivincita” della provincia e delle periferie, con Rieti che spicca facendo segnare una crescita in doppia cifra rispetto ai numeri di prima dell’emergenza sanitaria.

Secondo le stime dell’Omi (Osservatorio del mercato immobiliare) il prezzo degli appartamenti nei diversi quartieri del capoluogo oscilla tra i 700 e i 1.500 euro al metro quadro per le compravendite e tra i 3 e i 7,4 euro al mese per metro quadro per quanto riguarda le locazioni. In centro il prezzo medio per l’acquisto è di circa 1.150 euro al metro, superiore alla media cittadina pari a circa 1.050.

Al di là dei tecnicismi, il dato dimostra come il mercato immobiliare si stia orientando verso soluzioni economicamente più vantaggiose e di maggior soddisfazione rispetto alle mutate esigenze della vita quotidiana. Un aspetto per certi versi nuovo, da tenere comunque ben presente nella pianificazione urbanistica, che rappresenta uno dei principali strumenti di governo del territorio e in quanto tale deve considerare le tendenze attuali e possibilmente anticipare quelle dei prossimi decenni.

Con simili premesse riprende perciò quota l’antico e mai concluso dibattito relativo all’espansione della città. L’esigenza di rilanciare il comparto delle costruzioni è senza dubbio importante. L’edilizia costituisce da sempre un traino per l’intera economia nazionale e il successo delle varie agevolazioni e dei vari bonus conferma questo assunto. Logico quindi che da parte dei costruttori si spinga per poter ampliare quanto più possibile i margini di intervento e massimizzare di conseguenza i profitti.

La transizione ecologica e il dissesto idrogeologico del territorio congiurano d’altro canto per il verso opposto. “La lotta al cambiamento climatico è un destino comune, non è possibile separare ambiente ed economia”, ha ammonito martedì nel suo discorso d’insediamento la neopresidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, eletta al posto dello scomparso David Sassoli. E allora, in una città che non cresce sul piano demografico, dove l’unico apporto significativo è dato più dall’immigrazione che non dalle nuove nascite, ha senso estendere l’edificabilità ad aree finora vocate ad altra destinazione? Il continuo consumo di suolo è davvero la via maestra per garantire uno sviluppo in termini non solo economici ma di armonica convivenza tra le diverse porzioni della città che avrebbero invece bisogno di una saggia opera di ricucitura?

Non è facile rispondere con una battuta a questi interrogativi. A guardare la realtà reatina non si ha certo l’impressione che la prima necessità sia quella di nuove costruzioni. Eppure su zone già ampiamente antropizzate come Campoloniano vengono aperti nuovi cantieri, peraltro nel segno di investimenti piuttosto remunerativi, atteso che gli appartamenti risultano già tutti venduti sulla carta.

Il discorso si sposta così su quelle zone ancora intatte, dove invece sono previste colate di cemento, anche se non a brevissimo. Il controverso Piano quadro delle Porrara, approvato dal Consiglio comunale lo scorso 15 aprile, mette ad esempio a disposizione dei proprietari uno strumento a lungo atteso, con risvolti persino paradossali, visto che da anni sono costretti a pagare oneri e tasse per un’attività finora non consentita. Il soddisfacimento dei legittimi interessi di chi ha investito in quella zona non va sottovalutato, ma è la pianificazione nel suo complesso che purtroppo ancora stenta a decollare rispetto all’idea di città presente nella mente degli amministratori locali.

Rieti oltretutto conta una lunga serie di immobili in zone centralissime resi inagibili dal terremoto. E il tessuto urbano è infiltrato da relitti industriali che nessuno finora è stato in grado di rimettere in sesto, preferendo l’espansione edilizia al rispristino dell’esistente con recupero di cubatura e di decoro. La tendenza registrata dagli osservatori immobiliari sembrerebbe ora avallare questa scelta che rischia però di rivelarsi assai poco oculata. Perché abbandonare il centro storico in favore di nuova edilizia verso quartieri finora risparmiati dal cemento rappresenta in primis una clamorosa fuga dalle responsabilità da parte della classe dirigente, di cui in quest’ultima consiliatura si è avuta ampia prova con la gestione del traffico nel cuore di Rieti nel segno di una disordinata liberalizzazione.

Spostare l’attenzione su nuove possibilità edificatorie può far raccogliere il plauso degli investitori e degli imprenditori e anche di coloro che legittimamente aspirano a una casa nuova di zecca, ma lascia scoperti ampi settori ugualmente sensibili. Il centro storico è per definizione il salotto buono di ogni città e quello di Rieti, ancorché di superficie limitata, viene unanimemente apprezzato per la ricchezza dei contenuti e per la bellezza che sa offrire, perfino a dispetto di operazioni sciagurate come l’apertura dei giganteschi archi lungo le mura medievali a porta d’Arce nel 1956 o frutto della follia della guerra con l’abbattimento delle torri merlate di porta Cintia realizzate novant’anni prima da Eugenio Dupré e fatte saltare dai tedeschi in fuga nel giugno del 1944. Finora però ci si è limitati ad utilizzare quello scenario sfruttando l’eredità ricevuta dal passato, senza una convinta politica di interventi volti a consolidare e migliorare il cuore di Rieti. Sarà quindi interessante capire cosa partiti e candidati proporranno in materia in vista delle prossime elezioni amministrative. L’urbanistica del resto non va confinata a un singolo assessorato e ai tecnici che ci lavorano.

 

23–01-2022

 

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