a cura di Maurizio Festuccia

Febbraio 2018

SCATTO D'AUTORE

ANGELO DE SANTIS

Un 'Flashato'

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Ahhh, che mondo questo della fotografia amatoriale (e non) qui a Rieti! E' sempre più un vaso di Pandora, un gioco di scatole cinesi, una matrioska vera e propria: più scavi, più trovi. Stavolta portiamo alla ribalta, sotto la nostra "buona luce" Angelo De Santis, trent'anni, uno dei più giovani presenti in questa rubrica da quando (ormai son passati quasi due anni) iniziammo ad addentrarci nel lungo sentiero degli appassionati della fotografia. Laureato, ingegnere di informatica ed automatica, oggi lavora nel reparto di progettazione elettronica di una dinamica ed apprezzata industria del nostro Nucleo. 

Sei giovanissimo, quando e come hai avuto i primi contatti con il mondo della fotografia?
"Non vorrei essere banale ma in effetti ho iniziato da piccolino quando, , andando a trovare mia zia a Massa Carrara da cui ero definito "il fotografo di casa", trascorrevo l'intero pomeriggio a fotografare tutti i fiori che trovavo attorno al palazzo, con la mia compattina analogica."

Dopodiché, quando realmente è esplosa la passione?
"C'è stato uno stacco generazionale da quei giorni d'infanzia a quando, in effetti, ho iniziato ad imbracciare con costanza e passione una fotocamera. Galeotta fu la mia "avventura universitaria a L'Aquila, in un ambiente molto stimolante, diverso dal solito. Si era soliti andare, almeno un paio di volte alla settimana, al cinema e godere di tanti interessantissime proiezioni. Il fascino di certe sequenze, la magnificenza di particolari inquadrature, l'accuratezza di luci e colori, di ambienti e prospettive legate alla "fotografia" del film mi attraevano molto più della sua stessa trama. E, piano piano sentivo crescere il piacere, addirittura l'esigenza di provare a tuffarmi in questo mondo. Nel tempo, fu un collega di lavoro - molto più esperto - che m'introdusse in questo settore risvegliando in me quel "virus" inoculato da piccolo ma che solo in quel frangente sembrava ravvivarsi in maniera tanto evidente quanto determinante. Una prima bridge, una FujiFilm S4000 tutta mia, tutta per me e per la mia esplosiva voglia di scattare e poi, con i primi stipendi, primi soldi guadagnati, con enorme orgoglio mi regalai una vera reflex, una Nikon D7000 che ancor oggi porto gelosamente con me, ovunque."

 Ti restò difficile l'approccio con una reflex?
"Indubbiamente il cambio, l'evoluzione, il primo impatto inizialmente fu drammatico ma poi, tuffandomi a capofitto nel manuale d'istruzione, divorando uno dietro l'altro volumi di fotografia, sono riuscito a diventare "padrone del mezzo", a conoscere nel dettaglio ogni sua funzione, capacità, possibilità che offriva ed oggi posso dire di saper bene usare questa fotocamera, quasi ad occhi chiusi, direi."

Ora sei un componente "I Flashati", come ti trovi con loro?
"Faccio parte di questo gruppo ormai da tre anni e devo riconoscere che condividere con altri giovani come me la stessa passione, la stessa curiosità, la voglia comune di scattare, mi sta servendo moltissimo per continuare a crescere in questo mondo affascinante. E' un gruppo che conserva l'individualità della persona, il rispetto per le scelte ed il cammino che ognuno ha deciso di intraprendere; la condivisione, invece, dei lavori del singolo componente è poi un collante che ritengo indispensabile in questo tipo di ambienti. Dalle menate tecniche all'aspetto più intimistico del singolo, dalla sua sensibilità alla "perfezione" di uno scatto: tutti motivi per confrontarsi e continuare a camminare, ognuno per la propria strada, con le proprie caratteristiche umane ed artistiche. Così mi piace, così intendo la condivisione di una passione."

Iniziasti a...scattare cosa? Quali sono i tuoi soggetti preferiti?
"Quando iniziai a viaggiare, a varcare la soglia del nostro bel paese, ho sentito realmente l'esigenza della fotografia come ricordo di un momento, di una frazione d'attimo che non sarebbe più tornato. Ed allora, spesso, facevo coincidere la mia voglia di scattare con particolari viaggi mirati proprio e solo a questo. Per me il "viaggio" è la "scoperta" più importante, quella che deve ancora avvenire. Sin da piccolo coltivavo la voglia di fare l'archeologo ma solo per il gusto di vivere avventure alla Indiana Jones, di spostarmi, di viaggiare ovunque mi portasse la certezza di scoprire cose nuove. I miei scatti preferiti li rivolgo esclusivamente ai paesaggi, sono letteralmente rapito dall'ambiente naturalistico e conservo gelosamente nella mia cameretta le stampe delle fotografie a cui sono più legato. Anche la "street" mi interessa molto. Riconosco che è un settore molto impegnativo ma ho un grande rispetto, una grande ammirazione per questo tipo di fotografia, specialmente se realizzata in bianco e nero. Alcuni scatti, anche se la realtà che miri è inevitabilmente a colori, te la immagini già in bianconero e, difatti, quando la converti, ti accorgi che non avevi sbagliato, che la resa è affascinante. Ho un debole anch'io per il bianco e nero. Tanto è vero che, come molti, anch'io ho una forte attrazione per le opere di Bresson: il suo occhio riesce a vedere quel che agli altri sfugge, è un punto d'arrivo per la mia ricerca continua dei soggetti da ritrarre."

Cos'è per te una "bella fotografia"?
"E’ nel sentimento che riesce a trasmetterti il vederla e rivederla, oppure riassaporare un momento, il momento esatto in cui l'hai scattata. Magari ad altri può non dir nulla ma a te che l'hai vissuta realizzandola,  ricorda scenari, frangenti, profumi. L'occhio, ovviamente, guarda anche la tecnica ma la mente conserva il ricordo. Ad esempio, una delle foto che più di altre mi ha colpito, era una vecchia bianconero di Erwitt (altro mio riferimento) esposta al Kaos di Terni, dove un treno anni '50, con la sua ampia colonna di fumo, faceva da contraltare ad un'auto che appariva ferma, lungo una strada quasi senza fine: dava una evidente sensazione di immensità, di pienezza. Una di quelle foto che avrei voluto vivere io."

Soddisfazioni ne hai avute da questa tua passione?
"Pur non amando i concorsi fotografici, casualmente scattai una particolare foto alla Riserva dei Laghi lo scorso anno. C'era un concorso dedicato, bandito proprio dal Consorzio, e volli partecipare. Fu la mia prima volta. Volli intitolare quella foto "Blackbird, come la canzone dei Beatles: premei lo scatto proprio quando un uccello liberato in quel mentre, se ne andava libero verso il cielo spiccando il volo, lasciando in dote nelle mani del suo soccoritore  una manciata di soffici piume. E lo vinsi, con mio immenso stupore e piacere."

Come giudichi la foto ottenta con i cellulari d'oggi?
"Penso che qualunque mezzo avvicini alla fotografia sia un bene per l'intero movimento. Magari si inizia così, senza nemmeno accorgersene, e poi si sente l'esigenza di andare alla ricerca di qualcosa che soddisfi maggiormente le proprie, nuove, prorompenmti esigenze. Se l'imprinting è anche dettato anche da quello, ben venga. Dal semplice selfie a ritrarre dell'altro il passo è breve, e questo non può che essere un bene per chi veramente sente nascere da lì qualcosa dentro.
Il virus colpirà ancora!"

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