Tom Cruise: l’ultimo eroe possibile

18/06/2025 | Notizie in evidenza, Piccolo grande schermo

Tom Cruise

di Andrea Carotti –  Una star planetaria indiscutibile, ancora capace di viaggiare a velocità ultrasoniche in una dimensione action pura, per ribadire una centralità del corpo e della performance. Un corpo resistente, indistruttibile. Quando il cinema disegnava traiettorie sognanti e restava impregnato lo stesso di vita, impegno politico, debolezze e resurrezioni, passioni e tormenti. La devozione per un altro tempo si riconnette a Tom Cruise, che, come un’icona vecchio stile (un Cary Grant moderno disse John Woo), riemerge ogni volta dal passato per rivendicare il suo diritto ad abitare ancora l’immaginario di questo mondo. Ma non si tratta di sola nostalgia. Semmai il crocevia di una tendenza su cui provare a ragionare. Il filosofo americano Stanley Cavell in un saggio parlava di una sequenza di “Spettacolo di varietà” (V.Minnelli, 1953) in cui Tony Hunter (Fred Astaire) arrivava con il treno a New York e camminava lungo il binario per guadagnare l’uscita, canticchiando, quasi tra sé e sé, “By Myself”.  Era un uomo solo in un mondo dove nessuno sembrava accorgersi di lui, nonostante fosse una stella: un’emotional hovering, un sentimento di intima sospensione e uno stare in bilico sul bordo del numero che equivale a una meditazione sull’esistenza. Sul finale di “Mission: Impossible – The Final Reckoning”, ultimo capitolo della saga trentennale con Cruise protagonista, l’iconica spia Ethan Hunt sembra danzare per sopravvivere nella sequenza al cardiopalma sul biplano che fa tornare alla mente le mirabolanti e funamboliche imprese di Buster Keaton e mentre cade nel vuoto il fuoricampo dell’attore lascia con il fiato sospeso fino a quando riappare sano e salvo in un campo disperso nel nulla, come se grazie al potere magico e salvifico del cinema avesse raggiunto lo status di immortale divinità (divo). In quella scena viene evocata, inoltre, la grande tradizione del musical americano, in particolare “Carioca” (T.Freeland, 1934), con la coppia Rogers-Astaire dove una coreografia di ballerini va in scena letteralmente sulle ali di un aereo in volo. Al cinema come nella vita, sembrano suggerirci Astaire, Keaton e Cruise, c’è sempre qualcosa che sfugge, che resta fuoricampo. Ma un nuovo numero musicale o una nuova performance è già dietro l’angolo, pronta a far (ri)cominciare il mondo. Ethan sembra morire più di una volta durante l’arco narrativo ma poi scientologicamente rinasce, come se la realtà all’interno del film fosse un videogame (Edge of Tomorrow, 2014) in cui vivi, muori, ripeti fino al termine della missione principale (“la vita è la somma delle nostre scelte”).

Gli action/thriller del ProdAuttore Cruise sono veri e propri franchise da controllare in prima persona. Le saghe muscolari e pirotecniche di “Mission: Impossible” e “Jack Reacher”, vengono da lui interamente prodotte e si impongono come emanazioni della “Cruise Factory”. Ethan Hunt e Jack Reacher sono personaggi diversi l’uno dall’altro, digitalizzato e moderno il primo, intuitivo e analogico il secondo, ma sostanzialmente si incontrano nello sfidare l’incedere anagrafico dell’attore (che contribuisce ad aumentarne la narrazione dichiarando a più riprese di non servirsi di stunt) e ne rilanciano la dimensione eroica e superomistica. I “Mission: Impossible” realizzati insieme al regista McQuarrie sono film di puro movimento, retti quasi interamente dal corpo di Cruise/Hunt che si misura con Cameron sul piano della profondità, con Hawks e Kubrick su quello della gravità e con un Entità (AI) onnipotente che sembra essere imbattibile soprattutto sulla velocità combattendola con la capacità che trasforma l’impossibile in possibile e che rende un film puro cinema: il tempismo (In un battito di ciglia come vorrebbe la grande tradizione del montaggio). Il mondo rappresentato è numerizzato e binarizzato in cui tutto è connesso e il capitolo conclusivo contrappone un’AI che vuole distruggere il mondo all’uomo portando la saga a trasformarsi progressivamente in una metariflessione sull’evoluzione del blockbuster dagli anni ’90 all’era post-digitale: tensione palpabile tra il tempo dell’azione e il tempo della storia cinematografica che tenta un’operazione narrativa, estetica e ontologica.  Consapevolezza teorica che in Tom Cruise nasce sempre dalla pratica: “ho studiato a fondo la vecchia Hollywood e quel modo di produzione ormai passato per capire le mie origini. Sono sempre stato certo che un giorno quelle cose le avrei rimesse in circolo in maniera diversa”.

Format Rieti Maggio-Giugno 2025

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