di Maurizio Festuccia – Cantante musicista, compositore, Raffaello Simeoni suona flauti moderni, antichi e tradizionali, cornamuse, organetto, ciaramelli, liuti arabi, ghironda.
Fondatore nel1985 dei Novalia. In precedenza aveva cantato e suonato in varie formazioni rock e jazz e parallelamente come cantautore e tenore lirico.
Ha collaborato con artisti o gruppi internazionali, da Giovanna Marini, a Micrologus, Alexander Balanescu, Claudio Baglioni, Ambrogio Sparagna, Arturo Stalteri, oltre ad Avion Travel, Moni Ovadia, Simone Cristicchi, Ron. Nel 1995 vince il premio “Città di Recanati con il brano “Rama e rosa”, vince come miglior voce e miglior arrangiamenti nel 2005 con il suo disco da solista “Controentu” il Festival di Mantova.
Ha composto musica per il teatro, cinema, danza, televisione e poesia. Per il cinema ha composto le musiche del film “Sotto la Luna” di Franco Bernini con Claudia Gerini e del film “Matrimoni” della Comencini con Diego Abatantuono e Stefania Sandrelli.
Dal 1996 la sigla della trasmissione televisiva Mediterraneo è Ebla dei Novalia.
Ha collaborato con l’Associazione Orpheus, e adesso “MUNDUS”, alla realizzazione di stage e concerti con i gruppi Micrologus, John Rembourn, Walter Rizzo Ensemble, la rassegna “Giugno in musica” e l’incontro annuale del concorso “Cori del Lazio”. Da otto anni è il direttore artistico della rassegna di musica etnica “Talatta Talatta” che si svolge nei mesi di luglio e agosto in tutta la provincia di Rieti.
Ha curato la realizzazione del video “L’albero e la memoria”, viaggio nelle tradizioni musicali del territorio reatino.
Realizza la colonna sonora di tre DVD per l’APT sulla storia della Provincia di Rieti.
Ha effettuato studi e ricerche, scrivendo articoli sulla musica popolare, le avanguardie del Novecento, le contaminazioni tra le esperienze legate alle tradizioni musicali del mondo e lo sviluppo di nuove tecnologie per la composizione.
Dal 1997 collabora con varie scuole della provincia tenendo corsi di aggiornamento per insegnanti sulla musica e le tradizioni popolari, realizza una guida sulla conoscenza degli strumenti etnici, loro classificazione utilizzo e provenienza, la costruzione di essi con materiali di recupero con i bambini delle scuole elementari e un Cd di orientamento all’interno della musica del Novecento con i ragazzi delle scuole superiori.
E’ il cantante dell’Orchestra Popolare Italiana dell’Auditorium di Roma diretta da Ambrogio Sparagna.
Le sue tournée toccano vari paesi: Francia, Spagna, Danimarca, Svezia, Germania, Romania, Egitto, ex Jugoslavia, Grecia, Austria, Tunisia, Stati Uniti, Cina, Messico.
Ripercorrere tutta la tua carriera fino ad oggi sarebbe un’impresa ardua, tante sono le cose che hai fatto. Come ti sei originariamente avvicinato alla musica, di che tipo e perché?
“Ho iniziato a strimpellare da piccolissimo. Mio padre suonava nella banda cittadina: aveva iniziato con l’oboe, poi scambiato con un flauto traverso. Io soffiavo di nascosto dentro questo strumento, avevo 6/7 anni. Così mi regalarono finalmente un flauto dolce, con il quale suonavo le prime melodie. Dopo un po’ arrivò un’ocarina. Da allora non ho più smesso.
Ascoltavamo tanta musica in casa, specialmente la domenica mattina: musica classica, per lo più, e chiaramente brani con il flauto protagonista. Cercavo immagini di strumenti nei libri, inventavo fischietti con pezzi di canne, e tubi di qualsiasi tipo. Quando arrivò in Italia la musica delle Ande fu una folgorazione: vidi in tv un concerto di un gruppo Argentino “Los Calchakis”. Suonavano flauti di Pan, flauti in bamboo, chitarrine piccolissime… una manna per la mia curiosità. Poi scoprii gli Inti Illimani, i Quilapayun. Costrinsi mio padre a cercare e suonare il flauto di Pan. Si suonava in coppia e arrivò così l’amore anche per gli strumenti a corda. Un giorno un amico di famiglia porto uno strano mandolino a manico lungo. Conoscendo la mia passione, me lo lasciò per un po’: era un bouzouki. Lì ho imparato i primi accordi, lo accordavo come le 4 corde più acute di una chitarra. Così imparai a suonare anche la chitarra, e contemporaneamente il flauto traverso. Intorno toccavo altri strumenti: l’armonica, l’ocarina, i flauti dolci… ma sempre con una curiosità infinita per altri suoni dal mondo. Più erano antichi e più mi affascinavano. Appena potevo, andavo in biblioteca a cercare sui libri le immagini e li ridisegnavo.”
Con i Novalia, tuo primo gruppo importante, avevi già gettato le basi del tuo indirizzo musicale preferito, che oggi caratterizza la tua fisionomia artistica?
“Con i Novalia c’è stato un percorso insieme quasi ventennale. Ognuno ha imparato dall’altro un metodo di lavoro. Ci è voluto tanto tempo passato insieme per costruire uno stile che poi ha caratterizzato il gruppo, specialmente nell’ultimo periodo e negli ultimi dischi. Spesso anche con fatica. Mi ricordo i primi tempi: quando portavo uno strumento particolare alle prove, era difficile che tutti capissero il senso del progetto o del suono che avevo in testa. Ci sono voluti anni. Infatti, credo che parecchie cose potevano essere fatte molto prima, se tutti fossimo stati sulla stella linea di pensiero. Ci sono voluti tanti cambiamenti, anche nelle persone, e in nuovi incontri artistici. E con Novalia ne abbiamo ottenuti tantissimi, in giro per l’Italia e il mondo. Quando ci si separa da gruppo, o comunque quando si verifica una frattura che porta a una separazione, c’è la necessità di esprimere qualcosa che, all’interno di quelle dinamiche, non riesce ad emergere. Per me la musica è incontro, e come tutte le arti deve essere sempre in evoluzione. Penso che sia fondamentale trovare una propria fisionomia o linea artistica, ma che questa debba essere sempre in movimento e condivisa, partendo sempre dalle proprie origini e dalla propria cultura, ma sempre guardando e girando intorno e dentro il mondo.”
La passione sicuramente ti avrà accompagnato in questo tuo percorso di sperimentazione con vari e particolari strumenti. Ma da dove scaturisce questa tua esigenza di curiosare nei meandri di musiche sì popolari, ma decisamente di nicchia?
“Il mio giro del mondo in 80 suoni, dicevo una volta… ormai sono diventati 800 suoni e più. Insomma una passione immensa ed una curiosità infinita per il suono ed il battito della terra. La curiosità dell’incontro con altre persone, con altre culture. Non c’è solo la voglia di conoscere un nuovo strumento musicale, ma anche un modo di vedere la vita: cercando altre storie, altre vite, altri colori e racconti. La solidarietà tra popoli è proprio questo: la conoscenza dell’uno con l’altro. E la musica del mondo è fondamentale, insieme alla creatività e alla sperimentazione. Una nicchia che è diventata, negli anni, immensa. Ormai tutti gli artisti utilizzano altri suoni, altri strumenti e anche altri linguaggi e dialetti, in tutto il mondo.”
Quanto è stato difficile convivere con questa tua voglia di ricerca musicale? E’ stato difficile importi?
“Per me non esiste una musica di seria A o di serie B. In passato questo confine non esisteva. Basta pensare a Mozart, che rielaborava melodie popolari, o alla musica del Medioevo -sia sacra che profana- ispirata alla tradizione araba e greca. Anche gli strumenti moderni sono evoluzioni di strumenti tradizionali. Quante melodie oggi vengono riprese, plagiate magari inconsapevolmente, da cantautori o compositori! Ballate del ‘500 sono state usate da musicisti famosissimi per colonne sonore.
Tutto ciò va fatto con conoscenza, competenza e rispetto. E questa è la cosa sempre più rara, in un mondo che consuma e getta. Oggi chiunque usa una zampogna, spesso campionata solo per far scena, senza sapere che quello strumento ha tremila anni di storia: veniva suonato dai pastori, dai soldati in guerra, nei matrimoni e nei funerali. Era persino bandito dalla chiesa perché fatto con pelle di capra: uno “strumento del diavolo”.
Io cerco sempre di raccontare, per ogni suono e stile del pianeta, queste storie.
Ma è sempre complicato fare progetti originali in Italia, anche nella musica di tradizione, perché ora è diventata una moda e, quindi, si riduce tutto a qualcosa di superficiale. Tutti fanno le stesse cose.”
La tua più grande soddisfazione, personale ed artistica, da quando hai iniziato.
“Continuo a sfornare progetti originali. Per me è fondamentale, e vitale. In ogni nuovo disco cerco nuove lingue, nuovi suoni. Mi piace molto l’elettronica, l’ho sempre utilizzata, unendo i suoni tradizionali. Anzi, mi ha sempre intrigato modificare il suono di una cornamusa con aggeggi elettronici, o il suono di un flauto degli antichi Samurai giapponesi, filtrato da effetti, delay e harmonizer.
Una delle mie grandi soddisfazioni -a parte i riconoscimenti, sia in Italia che all’estero- è quella di essere cresciuto in competenza e consapevolezza. Di poter esprimere il mio pensiero e avere costruito una mia strada che va avanti da 40 anni. Avere l’opportunità di incontrare e insegnare alle nuove generazioni, ed avere tanti contatti e progetti -non solo musicali- aperti per il mondo, dopo aver reinventato la World Music in Italia.”
Il tuo rapporto con Rieti, sotto ogni profilo.
“Si ama e si odia la tua città. Ogni volta che ritorno, ti accoglie nel suo seno. Io sono il figlio che si nutre di questa terra, la sua lingua e della sua storia. Ti toglie le ansie, la smania di programmare. E’ onesta e gentile, anche se si lamenta in continuazione. Ci si cammina bene, ha dei bei colori e un buon profumo. Ti slega dai ritmi dello stress e ti riporta alla fanciullezza. Si può amarla e odiarla per questi motivi. Divento nostalgico quando oggi la vedo, ma più mi odia e più la amo ,e la rimpiango. La vedo distrutta, sola, abbandonata. La mia città ha un caldo posto nel mio cuore. Ma lì, dentro il Palazzo, la odiano.”
In cosa sei impegnato in questo momento?
“C’è un nuovo CD, con libro di poesie e acquerelli miei, in uscita a giorni. Si intitola MIRABILIA. La musica, la pittura e la poesia ci accompagnano da sempre. Affondano radici in tempi lontani, si danno la mano come sorelle che scendono nel mondo per avvolgerlo di bellezza, per cantarlo, per inventarlo, per consolarlo.”